Le poesie di Emily Dickinson: la funzione del poeta

Emily Dickinson (Amherst, 10 dicembre 1830 – Amherst, 15 maggio 1886) fu una poetessa statunitense dalla personalità molto complessa, introversa; ebbe difficili rapporti con i genitori, da cui ricevette una rigida educazione. Emily compì studi irregolari, prima all’Accademia di Amherst, poi nel seminario femminile di Mount Holyhoke, che abbandonò in seguito al suo netto rifiuto di dichiarare in pubblico la fede cristiana. Nel 1860 iniziò un isolamento volontario nella propria stanza, dove trascorse in completa solitudine gli ultimi anni della sua vita.

Temi fondamentali della sua poesia sono l’amore e la morte, la cieca potenza della natura, l’assenza di Dio, la ricerca della verità, la funzione del poeta e il significato della poesia nel mondo.

La lettera al mondo di Emily Dickinson

Emily Dickinson definì la propria poesia “Lettera al mondo”, fornendoci così una nuova metafora non solo della lirica, ma anche di se stessa in quanto poetessa. Le sue parole avranno un ignoto destinatario, la sua scrittura sarà consegnata al tempo ed esisterà solo se verrà letta. La lettera contiene in sé l’immortalità a cui la poesia di Emily aspira perché possiede “il potere spettrale del pensiero che viaggia da solo”. Scrivere è rendersi immortali.

“Questa è la mia lettera al Mondo
Che non scrisse mai a Me –
Semplici Notizie che la Natura raccontò –
Con tenera Maestà

Il suo Messaggio è affidato
A Mani che non posso vedere –
Per amor Suo – Dolci – compatrioti –
Giudicate teneramente – Me”

La lettera, che Emily Dickinson consegna “a mani invisibili” perché al mondo arrivi il suo messaggio, sono le oltre millecinquecento poesie che la sorella Lavinia trovò nella camera della poetessa in un cofanetto chiuso a chiave, accuratamente raccolte in fascicoli cuciti con un filo.

Edizioni  postume

Tutte le poesie furono pubblicate postume: Emily preferì affidare il suo messaggio alle mani invisibili dei lettori del futuro e continuare nella sua solitaria sperimentazione poetica, piuttosto che vedere rifiutate, o ancor peggio mutilate, le sue poesie da un anonimo correttore, che avrebbe potuto reputare difetti e anomalie le caratteristiche del suo stile (le lineette, l’iterazione di una parola, il verso frantumato), come dimostrano anche le poche poesie pubblicate in vita.

La portata del suo talento non fu compresa, ed Emily si ritrasse ancor di più in se stessa trascorrendo la sua vita ad Amherst, una piccola cittadina del Massachussets, senza mai allontanarsene. La sua camera, dove si rinchiuse in volontaria segregazione, divenne il suo mondo, da cui ebbe paura di allontanarsi per “non inciampare nelle proprie speranze e trovarsi in un mucchio di vasellame a pezzi”, come scriverà in una lettera ad un amico nel 1858. Scritte con grande grafia arricciata con maiuscole elaborate e lunghe lineette e fitte di varianti, le poesie di Emily Dickinson apparvero postume solo nel 1955, anno dell’edizione critica di Thomas H. Johnson.

Il ruolo del poeta

Emily DickinsonIl significato della poesia e il ruolo del poeta nel mondo sono tra i temi più cari delle poesia di Emily Dickinson, come si può vedere anche nella lirica “I poeti non accendono che lumi” datata 1864.

“I Poeti non accendono che Lumi –
Loro – se ne vanno –
Gli Stoppini che stimolano –
Se di Luce vitale

S’imprimono come fanno i Soli –
Ogni Eta’ una Lente
Che dissemina la loro
Circonferenza –“

Un’altra definizione dei poeti. Questa volta Emily Dickinson assegna loro il compito di mantenere accesa nel tempo la luce della poesia, di stimolare quello stoppino che quando è portatore di una luce vera, vitale, non accenna a spegnersi, anzi continua a illuminare gli uomini nel corso del tempo, ben al di là della vita del poeta. Nell’ultimo verso ritorna quella circonferenza che racchiude il mistero dell’esistenza, stavolta perennemente rinnovata dalla luce della poesia, una lente allo stesso tempo perpetua e cangiante, che sa parlare a uomini di tutte le epoche. I poeti, dunque, sono come soli: la luce degli stoppini, ovvero la poesia, illumina l’esistenza e le dà vita come fanno i soli necessari allo svolgimento dell’esistenza stessa. L’uso del plurale serve ad Emily a far oltrepassare alla poesia i confini del mondo dandole dimensione cosmica.

Maurizio Marchese

Fonti:

Emily Dickinson, Tutte le poesie, a cura di Marisa Bulgheroni, Mondadori, Milano, 1997