Apice Vecchia: il borgo fantasma tra passato e presente

Apice è un piccolo paese della Campania, posto al confine tra la provincia di Avellino e quella di Benevento. Stando alle testimonianze dello storico Alfonso Meomartini, deriverebbe il suo nome dal console romano Marco Apicio; altri invece lo rimandano agli antichi popoli degli Opici o Japigi.

Centro abitato che attualmente si divide in: Apice Nuova ed Apice Vecchia, dopo il sisma del 21 agosto 1962, per motivi di sicurezza, l’Amministrazione comunale decise di trasferire l’intera popolazione in un nuovo sito non molto lontano dalla parte storica, lasciando quest’ultima abbandonata al degrado e alla fatiscenza dei crolli post-terremoto.

Da allora, Apice Vecchia divenne un borgo leggendario, popolato dal silenzio e dagli spettri del passato, coperto dal verde che nasce prepotente sulla storia antica e attraversato dagli occhi furtivi delle stagioni che s’insinuano tra le lesioni di un vetro rotto e i crepacci di mura diroccate coperte da carta da parati che cade a pezzi.

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Apice Vecchia dopo il terremoto

Il paese dissestato, lasciato in balia del tempo, sotto la polvere dell’immobilità dove, di notte, rivivono i fantasmi di quel luogo, nel rumore dei ricordi che restano impigliati in ciò che qui è rimasto inalterato. Tutto tace, in una serrata desolazione carica di verità celate e, se il “tempo morto” racconta echi di vecchie storie e sussurra voci lontane, il presente si fa largo sotto le luci del Castello che torna a rivivere, finalmente!

Apice Vecchia: fascino e mistero

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Apice Vecchia: borgo fantasma

Luogo di mistero dove il tempo cessò la sua corsa cristallizzando la realtà, Apice Vecchia resta un covo di emozioni profonde e nascoste che trasmette il senso del sospeso e della fuga, la struggente sensazione di una fine che non ha mai più avuto un nuovo inizio e che ha visto gente andare via, costretta a lasciare tutto in un attimo, nel rombo acuto del forte boato.

Inoltrarsi tra i numerosi vicoli apicesi, sbirciare nelle case sventrate dal sisma, dove tutto è rimasto ibernato, è un’avventura seducente che porta lo sguardo a carpire ogni singolo particolare. L’occhio attento si sofferma sul dettaglio, la minuzia della sfumatura che incontra un oggetto, uno scritto, un colore… resti di vita bruscamente interrotta, custodi fermi e statici di un dolore mesto che racchiude segreti anche a chi osa sfidare le ombre.

Il napoletano Antonio Mocciola annovera l’enigmatica Apice Vecchia tra Le belle addormentate nel libro in cui racconta di circa ottanta paesi fantasmi disseminati per l’Italia; e qualcuno volle definirla la “Pompei incompiuta del ‘900”, il borgo sospeso nelle lancette di un orologio rotto. Il fluire cronologico si arrestò in quella sera del 1962, quando due violente scosse di terremoto provocarono 17 morti tra Sannio e Irpinia, colpendo duramente uno dei borghi più suggestivi del Beneventano e gettando nel panico i 6000 abitanti, dopo il precedente sisma del 1930.

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Sui tetti di Apice Vecchia

Quando il cuore storico del paese si spopolò, per Apice Vecchia cominciò un rapido declino ed il solo a battersi per tenerlo in vita fu lo storico sindaco Luigi Bocchino. Il suo progetto era quello di riqualificare il vecchio sito apicese, trasformandolo in un’attrazione turistica ma, l’idea andò a scontrarsi con la mancanza di fondi. Nel 2006 ci fu l’ennesimo tentativo di rilancio con l’obiettivo di rendere Apice un museo a cielo aperto però, anche questo piano si arenò e la regressione del paese sembrò inarrestabile.

Questi luoghi spesso visitati da curiosi o nostalgici del posto (per quanto la parte pericolante sia stata chiusa per inagibilità), è anche fonte di attrazione per fotografi appassionati, i quali ritrovano in questi spazi il gusto di cose dimenticate che invitano ad essere scoperte e riportate alla luce, nell’esigenza d’immortalare un frammento di ciò che già di per sé è imprigionato in un tempo parallelo e perduto.

Ed è qui, tra le macerie mute, che sopravvive la speranza nella persona di Tommaso Conza, barbiere di sempre mai andato via dal centro storico e il quale, dal 1964, lavora nel suo salone ad Apice Vecchia dove, grazie a progetti di finanziamento privati, si è riuscito, dopo venti anni, a recuperare almeno la parte del Castello Normanno riaperto al pubblico lo scorso dicembre 2016 in concomitanza dei mercatini natalizi.

Apice Vecchia: il Castello dell’Ettore

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Castello dell’Ettore

Il Castello dell’Ettore, risalente all’VII secolo, è l’emblema di un presente che guarda al futuro con ottimismo, memore del passato. Esso domina la valle dei fiumi Calore, Ufita, Miscano, il vallone di Sant’Andrea ed Apice Vecchia appunto.

Formato originariamente da quattro torri a pianta decagonale, di cui ne restano solo due, nel tempo è stato sottoposto a varie opere di ristrutturazione ed oggi ospita un museo d’arte contemporanea e contadina, è sede di varie attività culturali, di meeting e di ristoro e vi sono qui esposti piccoli reperti archeologici.

Questa roccaforte di difesa è stata storicamente teatro di aspre battaglie ed ha ospitato personaggi famosi come Federico II di Svevia, Manfredi di Svevia che qui avrebbe trascorso la sua ultima notte prima di morire, S. Antonio da Padova a cui gli apicesi sono particolarmente devoti.

Il Castello lega la sua storia alle diverse famiglie che si sono avvicendare nel tempo: dai Balbano ai Maletta, da Laonde Guglielmo di Shabron, gli Sforza, i d’Aragona a Innico di Guevara per essere, poi, venduto a Giulio Carafa, Pisanelli, Galluccio di Lucera ed infine alla famiglia Stuard. In definitiva, dopo ulteriori passaggi di dominio, il maniero fu acquistato dal Comune di Apice che attualmente è proprietario dell’80% di Apice Vecchia.

Tra gli altri monumenti importanti del paese sannita, vanno citati il Convento di S. Francesco e quello di S. Antonio.

Pasqualina Giusto