Il canone del Nuovo Testamento: quando e come fu fissato?

Quando è stato fissato il canone del Nuovo Testamento? Con quali criteri la Chiesa ha scelto quali fossero i testi ispirati?

La fede cristiana non si è sviluppata intorno ad un testo scritto, ma sulla base di un annuncio di salvezza trasmesso oralmente. La Tradizione ha avuto quindi un ruolo prioritario e, solo a partire dall’era subapostolica, le varie comunità hanno iniziato a raccogliere i testi lasciati dagli apostoli. Il canone neotestamentario ha visto quindi diverse versioni, fin quando il Magistero non lo fissò nella raccolta di 27 libri che oggi conosciamo.

Il canone muratoriano

Il primo canone noto è quello muratoriano che comprende quattro vangeli (dei quali si ha la certezza solo per quelli di Luca e Giovanni), gli Atti degli Apostoli, le Lettere di san Paolo (senza quella agli Ebrei), due lettere di Giovanni e di Giuda, l’Apocalisse di Giovanni. Questi erano i libri che si leggevano nella Chiesa di Roma alla fine del II secolo. Il nucleo fondamentale è lo stesso del nostro canone, ma con delle differenze importanti. Da un lato mancano all’appello le lettere di Pietro, quella di Giacomo, una lettera di Giovanni e una di Paolo. Dall’altro, il canone muratoriano accetta anche un’Apocalisse di Pietro e il Pastore di Erma, in seguito esclusi dal canone.

Gli altri canoni

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Clemente Alessandrino

La situazione non cambia di molto se andiamo a guardare i canoni – stabiliti in modo informale – di altre comunità. Ad esempio Ignazio di Antiochia, padre apostolico, sembra conoscere solo il Vangelo di Matteo e quello di Luca, con sole quattro lettere di san Paolo.

Nella generazione successiva, troviamo Marcione che invece accettava – rielaborando i testi – solo il Vangelo di Luca e dieci lettere paoline (eliminando tutto l’Antico Testamento). Ireneo di Lione considerava canoniche anche la Prima lettera di Clemente e il Pastore di Erma, così come Clemente Alessandrino, che però vi aggiungeva diversi altri libri (fra i quali la Didachè e l’Apocalisse di Pietro). Origene – oltre alla Didachè, al Pastore di Erma e alla Prima lettera di Clemente – aveva anche vangeli poi giudicati apocrifi.

L’Apocalisse di Giovanni: un caso emblematico

E questo riguarda solo gli apocrifi, la situazione diventerebbe ancora più complicata – e confusa – andando a guardare quali libri e quale lettere canoniche fossero effettivamente accettate. Un esempio, particolarmente significativo, è quello dell’Apocalisse di Giovanni che probabilmente non era conosciuta da Ignazio di Antiochia. Fra i primi a considerarla canonica fu san Giustino, insieme al Canone muratoriano, mentre era uno scritto dubbio per Eusebio di Cesarea. Altri, come si vede nel Concilio provinciale di Laodicea e nelle Costituzioni apostoliche, invece rifiutavano del tutto l’Apocalisse poi divenuta canonica (che non figura ancora nemmeno nel Concilio trullano del 692).

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San Giustino

La fissazione del canone

I Padri della Chiesa leggevano quindi Bibbie con testi diversi, ma ciò non costituiva un problema. Essi condividevano, prima di tutto, le verità di una fede trasmessa oralmente dagli apostoli. Il Magistero della Chiesa, solo in un secondo momento, intervenne a mettere ordine. Nello stabilire il canone definitivo, la Chiesa adottò tre criteri:

1-  Apostolicità: gli scritti dovevano essere degli apostoli o di loro discepoli, provenienti in ogni caso da una cerchia apostolica.

2-  Ortodossia: gli scritti dovevano essere conformi alla dottrina trasmessa oralmente dagli apostoli e conservata dalla Chiesa.

3- Uso liturgico: gli scritti devono essere ricercati fra quelli individuati e letti dalle varie comunità locali, a partire dai primi cristiani.

Il Diatessaron di Taziano

Questi criteri appaiono ancora oggi molto ragionevoli, ma costituivano davvero l’unica scelta possibile? Per noi sembra una cosa scontata, ma allora non lo era. Infatti, non c’era un consenso unanime nemmeno sui Vangeli come dimostra il caso del Diatessaron di Taziano. Il quale, nel secondo secolo, pensò di ovviare alle contraddizioni fra i quattro vangeli – a partire

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Papa Damaso

dalle genealogie differenti – fondendoli in uno solo appositamente rielaborato. Quello che oggi può sembrare un’operazione sconsiderata, ebbe invece un discreto successo tanto da portare quasi allo scisma. Oppure, come già detto, c’era chi voleva scegliere solo uno dei quattro vangeli, come Marcione, escludendo gli altri. Insomma, i criteri da adottare erano infiniti e questo mette ancora in più risalto la portata storica della fissazione del canone da parte del Magistero.

Il canone di papa Damaso

Il primo canone stabilito solennemente dalla Chiesa è quello del Decreto di Damaso, il De explanatione fidei. Si tratta di una lettera del vescovo di Roma Damaso – quindi del vescovo più autorevole della Cristianità – che contiene il canone con 27 libri, esattamente come lo conosciamo oggi. Canone che fu approvato dal Concilio di Roma (382), a cui la lettera era indirizzata, e in seguito confermato nei sinodi nordafricani: Ippona (393), Cartagine (397 e 417). Questa operazione del Magistero ha segnato una svolta fondamentale nella storia del cristianesimo, fissando il messaggio cristiano nella Sacra Scrittura composta dai libri ritenuti canonici. Una scelta valida per tutta la Cristianità che ha così trovato un saldo punto di riferimento, fino alla sanzione definitiva del Concilio di Trento.

Ettore Barra