Ezechiele tragico: un tragediografo ebreo-ellenistico

In periodo di feste cristiane, perché non riscoprire un autore ebreo di teatro? Cerchiamo di capire chi è Ezechiele attraverso la sua tragedia: l’Esodo.

Parlare di teatro cristiano sarebbe assolutamente impossibile, almeno nei secoli che riguardano la letteratura ancora definibile come “classica”. Il Cristianesimo delle origini, infatti,  aborriva tutto ciò che era pagano, licenzioso, festoso, dunque anche la scena teatrale, che era vista come luogo di esibizione di attori da strapazzo, con un vissuto spesso vergognoso. Eppure, un autore di teatro non proprio cristiano, ma comunque lettore della Bibbia, c’è.

Ezechiele, un tragediografo ebreo

Ezechiele, un ebreo. Chi sia quest’uomo è tutt’oggi un mistero. La sua attività sembra collegarsi al vivace ambiente culturale di Alessandria (sede di un’enorme comunità di Ebrei), attorno al II sec. a.C., ma niente si può dire con certezza.

È ricordato da varie fonti cristiane come “autore di più drammi”, ma sulla sua produzione non conosciamo nulla, eccetto pochi frammenti di una tragedia trasmessaci da ampie citazioni di Eusebio di Cesarea, Clemente Alessandrino, ed Eustazio di Tessalonica. Questa tragedia è l’Exagogè, ossia l’Esodo.

Il teatro in età ellenistica

L’importanza del dramma è capitale. Del mondo ellenistico, infatti, noi non sappiamo nulla sul teatro, su come esso si svolgesse, che rapporti avesse coi classici ateniesi, né possediamo testimonianze, eccetto due opere: l’Alessandra di Licofrone e, appunto, l’Esodo di Ezechiele.

Altro aspetto fondamentale risulta dalla lettura della tragedia: essa appare sviluppata esattamente come un dramma classico (cinque atti in trimetri giambici) e, più precisamente, deve moltissimo a Euripide. Questo dato permette di fare due importanti riflessioni: il teatro ateniese era ancora così influente in epoca alessandrina da ispirare i suoi autori; un ebreo poteva essere così colto e “conciliante” col mondo pagano da scindere religione e letteratura e trarre da quest’ultima tutti gli aspetti positivi che essa, meritatamente, mostrava.

L’Exagogè di Ezechiele

Ma entriamo più nello specifico: di cosa parla l’Exagogè? È semplice dedurlo dal titolo: è la rappresentazione in scena dell’Esodo, libro del Vecchio Testamento, di cui Ezechiele doveva essere un grande conoscitore, per riuscire a tradurlo addirittura in dramma!

Ma, ancora, alcune questioni vanno specificate: è mai possibile che un testo come quello dell’Esodo potesse essere rappresentato concretamente sulla scena? Da come Ezechiele sviluppa il dramma, pare che le sue intenzioni fossero quelle di produrre un dramma da leggere, e non da rappresentare. Del resto, il teatro ellenistico, come quello romano imperiale, era indirizzato principalmente alla lettura, e la tragedia ci dà delle spie: molte scene originali della Bibbia sono state modificate e spesso l’autore ricorre a discorsi, agoni (cioè botta e risposta tra due personaggi) o messaggeri che raccontino un fatto impossibile da rappresentare sulla skenè.

Un mistero tutt’oggi irrisolto

EzechieleAltra riflessione va fatta sul secolo di vita di Ezechiele: il nostro autore, infatti, come abbiamo detto, doveva conoscere molto bene il libro dell’Esodo per trarne una tragedia in greco. La Bibbia, però, fu tradotta dai Settantain questa lingua solo nel III sec. a.C., attraverso un processo lunghissimo che arriva fino al I d.C. È possibile allora considerare Ezechiele come appartenente al II sec. a.C., un periodo così vicino alle primissime traduzioni del testo sacro? Resta un mistero.

Al di là, comunque, di tutti i quesiti probabilmente irrisolvibili, resta però fermo il valore dell’opera, sotto vari punti di vista. E’ la dimostrazione, infatti, di come pagano e religioso possano convivere insieme; di come due mondi, pur distanti e spesso in contrasto (anche violento) tra loro, possano fondersi per dar vita ad un unico sostrato culturale; di come, insomma, spetti a tutti il volgersi oltre i propri orizzonti, per prendere dall’altro e dal diverso quanto di meglio esso ci può offrire.

Un messaggio che, in questi anni di guerra e terrore, forse dovremmo riportare più spesso alla mente.

Alessia Amante