Disneyland: luogo magico o trappola mentale?

Fra le tappe obbligate nella to do list in materia di viaggi in Europa ha un posto rilevante Parigi, la meta sognata dagli innamorati, nella quale tutto è a misura di coppia; tuttavia, la capitale francese è famosa, insieme ad altre città sparse per il mondo, anche per la presenza di uno dei parchi a tema più desiderati da bambini e adulti, Disneyland Paris.

Con l’uscita nelle sale dei lungometraggi d’animazione targati Disney-Pixar – ultimo dei quali Alla ricerca di Dory, l’infanzia si riempie di nuovi personaggi, nuove storie e nuovi mondi che si desidera toccare con mano, oltre lo schermo: ad Orlando in Florida, nella cittadina francese di Marne-la-Vallée, ad Honk Kong e Shangai questo è possibile.

È davvero “tutto oro quello che luccica“?  L’espressione calza a pennello, ma necessita di un’analisi più approfondita.

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Discorso di apertura di Walt Disney.
«A tutti voi: benvenuti. A Disneyland siete a casa vostra. Qui gli adulti rivivranno i loro più teneri ricordi del passato e i più giovani potranno assaporare le sfide e le promesse del futuro. Disneyland è dedicato agli ideali, ai sogni e alle realtà che hanno fondato l’America, nella speranza che ognuno ne tragga forza, gioia e ispirazione.»

Disneyland, l’infanzia e i sogni

Non appena si varca la soglia, Disneyland si mostra in tutta la sua sfavillante perfezione: le musiche creano un’atmosfera magica, la Main Street è un incanto con i monumenti cittadini ispirati ai luoghi dell’infanzia di Walt Disney, fondatore del magico parco. Disneyland si colloca nella categoria – anche se risulta entrare a far parte di più di una grazie alla sua maestosità e perfezione – dei parchi a tema: discendente delle antiche fiere cittadine e delle carovane artistiche, il parco tematico si sviluppa, appunto, su un tema – o più – che diventa filo conduttore di attrazioni, spettacoli e hotel circostanti per i turisti.

 

Disneyland nasce dalla volontà di Walt Disney, già famoso come fumettista, di creare un luogo nel quale trasferire i sogni, i ricordo dell’infanzia e donare la terza dimensione ai protagonisti dei suoi film d’animazione. Intorno a queste parole chiave è costruito ogni aspetto del parco – ne costituiscono, quindi, il suo tema portante: più volte Walt ha ribadito la sua necessità di trasformare ogni sogno in realtà. A Disneyland prendono forma quelli di tutti, senza differenze di età: in primis bambini e ragazzi, i quali possono incontrare i personaggi che hanno li hanno accompagnati lungo l’infanzia e nei quali si sono immedesimati; agli adulti, invece, è offerta la possibilità di varcare le frontiere della terra per entrare in quelle di un mondo lontano dalla grigia quotidianità. Disneyland si contraddistingue per questo: non esistono le brutture del mondo – la guerra, la povertà, la fame; è un posto totalmente asettico.

Un caso di globalizzazione

Come già accennato, all’ombra del castello della bella addormentata ha preso vita il sogno di Walt Disney. È davvero come si sostiene nelle locandine e nelle guide? È solo incanto e fantasia? La polvere di fata è l’unico ingrediente che manda avanti il parco?

Partiamo dal fondatore, Walt Disney: è rappresentato come modello dell’americano perfetto, tuttavia non è privo di ambiguità. Il forte desiderio di attaccamento all’età infantile è, per Walt, il richiamo di una mancanza avvenuta proprio in questi anni. L’infanzia felice che cerca di far vivere ai bambini ospiti del parco è semplicemente il riempimento di un vuoto interiore. Sia chiaro, rappresentare materialmente l’età dei giochi non è un’anomalia; commercializzare la propria immagine è, però, un mezzo per raggiungere elevati scopi economici. Una vera e propria campagna pubblicitaria.

Sembra strano, ma negli armadi di casa Disney si nascondono non pochi scheletri, che girano tutt’intorno alla società dei consumi – e quindi della globalizzazione. Quando si parla di società dei consumi, nelle scienze umane e sociali, si intende un tipo di società che utilizza come schema fisso l’alternanza produzione-consumo. Spesso, però, i beni prodotti sono superflui o inutili. Si genera dunque un circolo vizioso nel quale la pubblicità riveste il ruolo decisivo: invogliare all’acquisto. I prodotti di consumo che circolano a livello globale derivano dal modello americano – si pensi a McDonlad e ad altri franchising sparsi in tutto il mondo.

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Main Street, Disneyland Paris

Un “divertimentificio” in stile americano

Se guardate bene in fondo ai miei occhi vi vedrete sventolare due bandiere americane… [1]

Partendo da questo concetto, anche Disneyland è un prodotto della società dei consumi e il simbolo dell’imperialismo americano nel mondo. È un “divertimentificio“: sforna divertimento spettacolarizzando la realtà; smuove le emozioni interiori legate all’infanzia, così da rendere l’ospite del parco inconsapevole della trappola mentale a cui va incontro. Chiunque, infatti, si sente libero a Disneyland, subendo invece lo stesso meccanismo di controllo della società contemporanea: l’aspetto del parco, delle attrazioni, dei ristoranti offre l’illusione di muoversi liberamente ma conduce le esperienze verso dei passaggi obbligati (la sfilata dei personaggi a metà pomeriggio, lo spettacolo finale). Lo stile americano che percorre tutti i parchi Disney sottolinea ancor di più l’aspetto consumistico.

Un luogo da evitare?

Disneyland resta, indubbiamente, il luogo dei sogni: l’essere un prodotto della globalizzazione non deve escludere la visita a luoghi di questo genere. Sicuramente, l’idealizzazione del posto è eccessiva. Può il mondo dei sogni richiedere un biglietto d’ingresso – o passaporto, utilizzando un termine di Walt Disney – e un livello economico così elevati? Il diritto di sognare non è concesso a tutti?

Alessandra Del Prete

Fonti

[1] Walt Disney citato da Paul Aries, Disneyland, le royaume desenchanyé, Éditions Golias, Villeurbanne 2002, p.13

Bibliografia

Giada Sponza, DISNEYLAND PARIS, Un caso di globalizzazione dei consumi e omologazione culturale?