“Ahi serva Italia, di dolore ostello”: Dante e l’attualità

Può un autore medievale, ancora oggi, essere partecipe del nostro presente? Dante sì. Vediamo come nel Canto VI del Purgatorio; lo stesso che contiene la celebre invettiva politica (“Ahi serva Italia, di dolore ostello”), tra le più forti e appassionate pagine dantesche.

Quando si parla di Dante e della “Divina Commedia”, uno spirito (insolitamente) nazionalistico assale spesso noi italiani. Una tra le opere più grandi, discusse e studiate dell’intero patrimonio culturale mondiale è nata dalle nostre radici! Strana coincidenza: un grande tessuto politico e civile avvolge tutta la Commedia.

E allora una domanda sorge spontanea: com’è possibile che un autore, vissuto in un tempo e in un clima così lontani dalla modernità, possa essere così partecipe del nostro presente? È questa la reale bellezza. Ce ne fornisce un perfetto esempio il Canto VI del Purgatorio; lo stesso che contiene la celebre invettiva politica (“Ahi serva Italia, di dolore ostello”), tra le più forti e appassionate pagine dantesche.

Sebbene sia costruito in maniera anomala rispetto agli altri, in questo canto Dante porta sempre sotto i riflettori un solo e unico personaggio. E infatti il grande discorso civile e profetico non si svolge, per così dire, fuori campo, ma è legato ad una persona, una persona dotata di una propria identità narrativa e insieme storica. Si tratta di Sordello da Goito, celebre trovatore mantovano, noto per i suoi testi di impegno morale e civile.

Sordello e Dante: perché?

SordelloMolto si è discusso sulla scelta fatta da Dante. Ci sono molti elementi della biografia effettiva, morale e letteraria di Sordello che non convincono gli studiosi. In poche parole: Perché? Perché un ruolo così importante? Esaminiamo tutti gli elementi con ordine.

L’invettiva è chiamata da Dante “digressio”, digressione, ovvero uscita dal soggetto principale del testo, cosa che spesso implica anche un cambiamento di stile. Ma si tenga anche presente (e certamente Dante lo sapeva) che la digressio è una delle componenti fondamentali dell’amplificatio; quell’espediente retorico che Edmond Faral aveva definito “la principale fonction dell’écrivain”.

E in effetti se c’è un elemento che gioca a favore del Sordello personaggio (e non è il solo) è questo: è mantovano. Come sempre, ogni significato universale è portato in scena dalla singola persona storica; come sempre, l’amplificatio (o digressio) scatta a partire da ciò che Dante costruisce intorno.

Sordello e Virgilio: un patetico abbraccio

Alla menzione della propria città natale, Sordello subito riconosce Virgilio; segue l’appassionato abbraccio tra i due conterranei, cuore e acme del canto, e forse tra i momenti più alti ed emozionanti di quella grandissima opera che è la Commedia.

e l’dolce duca incominciava
“Mantua…”, e l’ombra, tutta in sè romita,
surse ver’lui del loco ove pria stava,
dicendo: “O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra!”; e l’un l’altro abbracciava.

Da questo momento di intensa commozione e humanitas, il Dante-autore attacca indignato: “Ahi serva Italia, di dolore ostello”, censurando i comportamenti di tutti gli “altri” italiani. Ma di questo parleremo più avanti.

Il Sordello-poeta

Come si diceva qualche riga addietro, Sordello non è solo mantovano, è anche un poeta. E sebbene ricca di personale coinvolgimento, l’intera digressio si nutre di una tradizione poetica già ben consolidata: quella del plahn, un derivato del sirventese morale.

A maggior ragione, spicca la singolarità di un testo che reca rapporti ancora più stretti con il canto: il planh – ossia il lamento – di Sordello per la morte di Blacatz. Sotto questo punto di vista è molto probabile che Dante abbia visto nel trovatore mantovano la persona che meglio poteva rappresentare sé stesso in veste di censore dell’umanità. Ma allora perché tutti questi dubbi? Cerchiamo di guardare un pò più indietro

Una doppia faccia

Seppur velata, l’apparizione di Sordello nel Canto VI nasconde una doppia identità. A quanto pare l’anima pensosa “tutta in sé romita” descritta da Dante non corrisponde appieno alla realtà. Molti studiosi descrivono il debutto di Sordello come alquanto bohémien e, secondo molti, l’incipit del canto riguardo al gioco alluderebbe a certe passioni giovanili del trovatore, sicuramente poco commendevoli. Ma a parte questo, veniamo alla crux più problematica.

La parabola di un “doppio”

Perché mai Dante avrebbe dovuto affidare un ruolo così preminente ad un uomo, cortigiano di quel Carlo D’Angiò che aveva distrutto la casata sveva? Il ruolo di “doppio politico” di sé che Dante conferisce a Sordello poggia probabilmente sulla vera qualità dei rapporti tra lui e Carlo d’Angiò.

Sorge il sospetto che i loro rapporti fossero meno idilliaci di quanto potesse parere, e che Sordello fosse in realtà ben consapevole della negligenza del sovrano; rimasto imbrigliato com’era (come tanti poeti del resto) in una rete di rapporti di convenienza o di fiducia.

E, se ci si pensa due volte, non è una situazione diversa da quella che lo stesso Dante ha dovuto sopportare a più riprese nel corso della sua vita. Come Dante, insomma, anche il suo “doppio” aveva avuto bisogno di una lunga educazione politica, che lo aiutasse ad abbandonare vecchi ideali e compagni di strada inadatti.

La “digressio” più famosa di sempre: Ahi serva Italia!

Dopo aver chiarito il “dietro le quinte” del canto, per così dire, puntiamo ora i riflettori su una delle invettive più famose della storia. Come abbiamo già accennato, la digressio prende le mosse da ciò che viene chiamato “argumentum a natione” (in questo caso, il plateale gesto di riconoscimento tra due coincittadini). Subito Dante attacca a denunciare gli odi di parte che dilaniano nelle città italiane, e sporcano “mani fraterne di fraterno sangue”, per citare Shakespeare.

Quell’anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno senza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro e una fossa serra.

E se si esclude la Pia, tutti i personaggi fin qui incontrati sono vittime delle lotte politiche, persino il denunciatore. Dante struttura la digressio indirizzandosi a diversi interlocutori, come in progressione: all’Italia, alla Chiesa, all’Imperatore (più precisamente, Alberto d’Asburgo), a Dio stesso, ahimè incurante, per concludere la parabola con Firenze stessa. Tralasciando gli innumerevoli dettagli più minuziosamente filologici, si tenga a valorizzare l’estrema attualità e l’estrema passione di questo testo.

Ahi serva Italia! Dante senza tempo e senza spazioSordello Ahi serva Italia Dante

Se è vero che “un classico è un libro che non ha mai finito di dire ciò che ha da dire” (Calvino), questo vale anche (e sopratutto) per un’opera come la Commedia. Dante, nella sua lontananza, non è mai stato tanto vicino a noi.

Ahi serva Italia! L’Italia, dopo tutti questi secoli, ancora assomiglia alla “nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello”, e i suoi abitanti non sono da meno. Questo passo ha un valore di universalità, fuori dal tempo e dallo spazio, che non sempre gli è riconosciuto, in parte perché l’ideale politico di Dante è considerato (a ragione) lontano dalla sensibilità moderna.

Ma sempre vivo è il valore della humanitas; sempre vivo è il valore dei doveri di un sovrano o di un politico; sempre viva tra gli uomini è l’idea del sacro vincolo che li unisce al natìo loco. E non solo, è il luogo stesso a dover unire gli uomini che, in ogni tempo e in ogni dove, si pongono gli uni contro gli altri.

Vieni a veder la gente quanto s’ama!

Ironia e dolore conducono le ultime terzine, dedicate alla tanto amata (e odiata) Firenze, patria dell’autore.

Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta.

Dante parla quasi come fosse un amante tradito; resta ancora tutto l’amore provato e regalato, con un’aspra nota mista di delusione e rabbia.

E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.

Era il 1310, o giù di lì, e ancora oggi ci accorgiamo che è stato ed è tutto incredibilmente vero.

Martina Pedata

Fonti

Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, Oscar Mondadori, Milano, 2013

Cento canti per cento anni, a cura di Enrico Malato e Andrea Mazzucchi, Salerno Editrice, Roma