Shakespeare’s Romeo + Juliet di Baz Luhrmann: l’analisi

Nel 1996 uscì al cinema una versione di Romeo e Giulietta destinata a rimanere impressa nell’immaginario di molti: si tratta di “William Shakespeare’s Romeo + Juliet” di Baz Luhrmann, estroso regista e sceneggiatore australiano. Tenete a mente il titolo completo del film, ci torneremo più avanti.

Ciò che rende questo film di Luhrmann assolutamente scioccante – nonché degno di una riflessione approfondita – è la singolare maniera in cui viene utilizzato il soggetto. Le opere di Shakespeare, infatti, sono state immortalate sulla pellicola fin dagli ultimi anni dell’Ottocento, quando alcuni registi vittoriani vollero conservare per i posteri brevi momenti delle rappresentazioni teatrali che andavano in scena all’epoca: l’eccezionalità, quindi, non sta nella scelta del soggetto. Né, d’altronde, possiamo dire che Luhrmann sia stato il primo ad aver “tradito” l’opera originale. Una delle più riuscite trasposizioni di Macbeth è “Il trono di sangue” di Akira Kurosawa (1957), che sposta la scena nel Giappone medievale e non utilizza neppure una parola dell’opera del Bardo.

Un film “postmoderno”

Luhrmann locandinaIl vero e proprio marchio di fabbrica che Luhrmann ha impresso alla sua versione di Romeo e Giulietta è l’estetica postmoderna. Nell’ambito della critica letteraria, il termine postmoderno è stato ampiamente utilizzato, fin dagli anni ’80, per definire una caratteristica fondamentale di quella che era percepita come un nuovo tipo di produzione culturale: l’idea che tutto fosse già stato detto, scritto o raccontato e che l’unico modo possibile di relazionarsi con l’arte fosse la rielaborazione, come se il concetto stesso di creazione fosse ormai superato. Al di là delle lugubri considerazioni sulla cosiddetta “morte dell’arte” e “morte dell’autore” – ad oggi possiamo dire che, nonostante qualche acciacco, entrambi stanno ancora piuttosto bene – è innegabile che la nostra epoca sia caratterizzata da una costante ripresa di motivi e storie già esistenti (state pensando a tutti quei remake usciti negli ultimi anni? Probabilmente sì).

Guardare “William Shakespeare’s Romeo + Juliet” con questa consapevolezza significa partire dal presupposto che non si sta guardando il Romeo e Giulietta di Shakespeare, anche se il titolo del film sembra suggerirci proprio questo. Quel titolo, letto tutto insieme e facendo caso al segno + che sostituisce l’originaria congiunzione, significa esattamente questo: è il Romeo e Giulietta di Luhrmann, che usa Shakespeare come fonte, ma che non è Shakespeare. Può sembrare una cosa banale, ma non lo è: i film di Zeffirelli, al contrario, sembrano rievocare visivamente e linguisticamente l’opera shakespeariana nella maniera più pura e incontaminata, e nonostante ciò c’è qualcosa di barocco, di manierista, che li caratterizza e che “non è” Shakespeare. Al contrario, Luhrmann chiarisce fin dall’inizio i suoi intenti e sembra volerci dire: questa è la storia come la vedo io.

L’estetica di Luhrmann

Secondo il regista australiano, Shakespeare era in grado di comunicare col suo variegato pubblico grazie ad un assortito immaginario evocativo-visivo. Il compito del cineasta moderno, nel trasporre Shakespeare, sarebbe quindi quello di trovare un meccanismo – non necessariamente “fedele” – per rendere lo stesso immaginario non più attraverso metafore e parole, ma concretizzandolo sullo schermo. Via libera, quindi, a motivi ricorrenti, musica pop e tutto ciò che potesse colpire uno spettatore “medio” moderno: enormi croci al neon, frasi d’amore sulle insegne pubblicitarie e quant’altro. Si tratta di un vero e proprio pastiche cinematografico, cioè di un’opera che “incolla”, accostandole, forme appartenenti a testi e a mezzi di comunicazione diversi.

Passiamo ad alcuni esempi.
La scena in cui ci viene presentato Romeo, interpretato da un allora giovanissimo Leonardo DiCaprio, ci mostra un ragazzino vestito di nero romanticamente rivolto verso il mare, con una canzone dei Radiohead in sottofondo (Talk Show Host). Romeo scrive versi struggenti su un taccuino e si esprime in rima baciata: il tutto, ovviamente, stride con il panorama di scontri tra gang e feste pacchiane di Verona Beach (perché chiamarla Venice Beach come la vera località di Los Angeles non sarebbe stato altrettanto evocativo).

Luhrmann first encounterIl primo incontro tra Romeo e Giulietta è ancor di più all’insegna del pastiche: nella tragedia shakespeariana, Giulietta veniva definita bright angel. Perché non abbigliarla allora come un vero angelo, con tanto di ali finte applicate sulla schiena? Allo stesso tempo, il Romeo del poema di Brooke (fonte di Shakespeare) è descritto come un cavaliere dall’armatura luccicante… esattamente ciò che indossa DiCaprio alla festa in maschera dei Capuleti. È ancora in Brooke che Luhrmann trova ispirazione per le sue scene acquatiche (ricordatevi di guardare il video qui sotto!) e per la terribile tempesta che si scatena quando Mercuzio sta per essere ucciso.

Luhrmann come Shakespeare

Se Shakespeare fosse vivo che tipo di film avrebbe realizzato? È dunque questa la domanda a cui Luhrmann vuole rispondere, come dichiarano le note di presentazione all’edizione italiana (2002). Il suo pubblico era costituito da circa quattromila spettatori urlanti, privi di controllo e spesso ubriachi. Oggi chiunque, dagli spazzini alla regina d’Inghilterra, assisterebbe ai suoi spettacoli al Globe Theatre. Per attrarre, commuovere, elevare e ispirare questo pubblico userebbe ogni strumento a sua disposizione, dalla commedia volgare di bassa lega ai soggetti d’attualità, dalla tragedia sofisticata e violenta sino a prendere la pop music dalle strade dov’è nata per inserirla nelle sue produzioni.

Tant’è: “William Shakespeare’s Romeo + Juliet” non è – e non vuole essere –  il Romeo e Giulietta di Shakespeare, ma ciò che Shakespeare avrebbe potuto sceneggiare se fosse vissuto nella nostra epoca. Potrebbe apparire un intento poco modesto, ma è molto più stimolante che lasciar impolverare i grandi autori del passato trattandoli come reliquie.

Maria Fiorella Suozzo

Fonti

Strictly Shakespeare? Dead Letters, Ghostly Fathers, and the Cultural Pathology of Authorship in Baz Luhrmann’s “William Shakespeare’s Romeo + Juliet”, Courtney Lehmann

Shakespeare e il cinema, Pierpaolo Martino, in “La letteratura inglese dall’Umanesimo al Rinascimento” a cura di Michele Stanco