Alberto Moravia e “La Noia”: l’analisi tra Freud e Marxismo

Pubblicata nel 1960, “La noia” è una tra le opere più espressive della produzione di Alberto Moravia. Il romanzo può essere considerato il cardine di un’ideale trilogia insieme a “Gli Indifferenti” e “La vita interiore”, in cui l’autore affronta le problematiche del mondo borghese, dell’alienazione e della reificazione intesa come spersonalizzazione dell’uomo.

“Per me scrivere è come vivere. All’inizio di ogni libro c’è qualcosa di oscuro, di difettoso, che per miracolo certe volte si scioglie […] Quando mi metto a scrivere non so nulla di quello che scriverò. Non prendo note di nessun tipo: lascio che il libro viva così come vivo io” (Alberto Moravia)

La Noia: la trama

Accenniamo alla trama: Dino è un pittore sui trent’anni, che ha abbandonato la sua ricca famiglia per dedicarsi all’arte e tentare invano di sottrarsi ai condizionamenti dell’infanzia: una madre assillante, preoccupata solo dell’amministrazione dei suoi beni, e una figura paterna evanescente.

Sin dalla fanciullezza, il protagonista è preda di un sentimento di noia che gli impedisce di riconoscersi nella realtà che lo circonda. Incontra poi Cecilia, una giovane modella, con cui intraprende una relazione amorosa, ma la sua inafferrabilità e la sensazione di poter raggiungere per suo tramite quella pienezza di vita che la “noia” gli aveva sempre precluso, spingono Dino ad indagare ossessivamente sul mondo di CeciliaAlberto Moravia, La noia

Alberto Moravia: uno scrittore monotono?

Si può dire che io sono uno scrittore monotono: ripeto infatti gli stessi temi, come certi uccelli ripetono lo stesso verso, ma di anno in anno va mutando il mio modo di vedere questi temi.

Le costanti del mondo di Alberto Moravia sono in effetti sempre le medesime: perenne assenza di autenticità, condanna morale della borghesia novecentesca, senza troppe distinzioni tra quella del’età fascista e quella dell’età post-fascista. La definizione di “realismo critico”, usata dal Ferroni allo scopo di identificare un elemento unificante nella vasta produzione moraviana, se da un lato apre uno spiraglio su alcuni aspetti, dall’altro non ne coglie appieno lo spirito.

È vero, ci sono elementi costanti ma l’efficacia narrativa di Alberto Moravia riesce in ogni singolo caso a far dimenticare del tutto la preclusione di partenza di un’assillante ripetitività. Ciò vale anche, e soprattutto, per un romanzo come “La noia” che,  pur riprendendo tutti i motivi tematici già precedentemente affrontati ne “Gli Indifferenti”, si presenta come una novità narrativa assoluta nel panorama letterario moraviano. Vediamone in dettaglio alcuni aspetti peculiari.

Freud e Marx: due “garanti intellettuali”

Il sentimento della noia nasce in me da quello dell’assurdità della realtà, come ho detto insufficiente ossia incapace di persuadermi della sua effettiva esistenza.

Certo è che “La noia” implica un’analisi sconsolata dei danni causati all’uomo dalla tecnologia e dal ventennio fascista, che sembrano ormai insanabili sia politicamente sia clinicamente dalle teorie psichiatriche. Lo stretto, e a volte ambiguo, rapporto di Alberto Moravia con Marx e Freud non si risolve in una fede ingenua nelle loro lezioni, ma piuttosto un’esitazione vacillante tra nuove letture e interpretazioni.

Si può dire che, con “La noia”, Moravia sia tornato a “Gli Indifferenti” e “Le ambizioni sbagliate”, e più precisamente, allo studio dei rapporti tra coppie provvisorie, fuori dall’iniziazione adolescenziale e fuori dal matrimonio.

Moravia
“La noia” versione cinematografica di Damiano Damiani (1963)

Il mondo borghese di Alberto Moravia, i cui metaforici angeli erano diventati sesso e denaro, non è mai cambiato, è soltanto invecchiato ed è rimasto profondamente contagiato dall’atmosfera descritta da “Gli Indifferenti”. Una cosa bisogna dirla: Moravia ha ormai del tutto superato la sua fase “psicoanalitica”, in quanto la stessa psicoanalisi è diventata mero cliché borghese e alibi ideologico; lo si vede nella madre di Dino, descritta come “amante delle definizioni scientifiche o che sembrassero tali”, per le quali era capace di definire la malattia di suo marito come “dromomania” e quella della sua domestica Rita come “ninfomania”.

Naturalmente la psicoanalisi rimane un elemento della cultura e della tecnica spicciola di Alberto Moravia, una sorta di “garante intellettuale” per così dire, che “interessa l’artista soltanto nella misura in cui lo aiuta a chiarire a se stesso il significato di certe esperienze che egli deve aver fatto in precedenza per conto proprio”[1], e per questo, non può ignorarla nè farne a meno.

In modo analogo si pone l’esempio di Marx: ambedue pongono all’origine una determinazione materiale, l’istinto sessuale per Freud, il movente economico in questo caso, i due elementi di alienazione della società borghese e i due mezzi attraverso cui Dino cerca disperatamente di possedere Cecilia.

Emblematica a questo proposito è la scena in cui, nuda, la ricopre di denaro dalla testa ai piedi. Incontriamo molto spesso termini appartenenti al lessico tecnico della psicologia, ad esempio “sadismo” o “masochismo”. Il vocabolario freudiano è a sua volta contaminato da quello marxistico: “ambivalenza” diventa “contraddizione”, mentre “regresso” diventa “frustrazione”.

Ma in realtà si cercherebbero invano spiegazioni psicoanalitiche o politiche ne “La noia”. Moravia avverte questi due retroscena, ma rifiuta di autorizzarli completamente, limitandosi a grossolane, seppur fondamentali, indicazioni. Innanzitutto il rapporto anaffettivo con la madre e quello invece inesistente con il padre, figura al quale finisce per sostituirsi quella del vecchio pittore erotomane, Balestrieri, con cui Dino si identificherà nell’analisi del suo rapporto con Cecilia: ogni cosa che fa Dino, Balestrieri l’ha già fatta precedentemente.

Il protagonista, con un interesse quasi ossessivo, cerca di rinchiuderlo in una sorta di stereotipo paterno. Altra costante psicologica fondamentale è il sadomasochismo di Dino, che si configura nella volontà di uscire dalla sua prigionia per rinchiudervi invece la sua amante, si direbbe quasi flagellandola con i suoi sistematici interrogatori, che Cecilia puntualmente elude e rifiuta.

Quanto al transfert dell’affetto materno a quello di una donna avviene decisamente sotto il segno della frustrazione: Dino, dopo aver avuto relazioni con donne più vecchie di lui, passa ad un rapporto con una ragazza adolescente, allo scopo di trasformare il legame edipico in un legame “virile”. Allo stesso modo non c’è traccia di “propaganda” politica, come non c’era ne “Gli Indifferenti”.

L’esempio marxista si configura in un’alienazione comune dell’uomo: non è più soltanto l’operaio ad essere alienato, è la stessa classe borghese, la stessa Roma degli anni’ ’60, e così anche Dino che si ritrova incapace di uscire dal ciclo storico. Paradosso eccezionale: tutto questo non vale per Cecilia.

Cecilia sfugge alla realtà storica, sfugge all’alienazione ed è il rifiuto deciso degli strumenti della psicologia. Costruita con puro behaviorismo e inverosimiglianza psicanalitica, è il personaggio che si spiega solo con se stesso e demolisce ogni tentativo di analisi, quello di Dino e quello del lettore stesso.

Utilizzando una definizione di Fernandez, possiamo dire che il realismo moraviano è un “realismo illimitato”, cioè di una realtà infinita, spesso complessa, segreta e oscura, in cui lo strumento psicoanalitico e quello politico/sociologico marxista si fondono e si manifestano non nel loro aspetto dottrinario, ma nei loro caratteri rivoluzionari e nelle loro analisi obbiettive.

Martina Pedata

Fonti

Alberto Moravia, La noia, Bompiani, 2001

[1] Michel David- Prefazione a “La Noia”– Bompiani, 2001