La mimesis cinematografica: tra realtà e rappresentazione

Ciò che più di ogni altra cosa è peculiare del mezzo cinematografico è la sua meravigliosa facoltà (la mimesis) di costruire un universo spazio-temporale del tutto autonomo rispetto a quello che abitualmente identificheremmo come realtà.

La mimesis nel pensiero greco classico

Il cinema è in grado di lavorare autonomamente su temi di grande rilevanza propriamente filosofica e non solo sul piano strettamente estetico, uno di questi, è quello che propriamente potremmo identificare come il nodo teorico fondamentale del pensiero greco classico: il problema del rapporto fra la realtà e ciò che, essendo altro da essa, tende a assomigliarle attraverso la rappresentazione.

È nota e chiara la soluzione proposta per questo problema da Platone (prima ancora di Aristotele): ciò che fa da tramite tra questi due livelli è la mimesis, essa consente di ri-produrre (per somiglianza) ciò che è proprio della realtà.

Di fondamentale importanza è la definizione che ne viene data nel Sofista (235 d – 236 c), anche perché essa introduce una distinzione tra quella forma della mimesis che produce immagini vere (eikones) e l’altra forma (phantastike mimesis) che dà luogo a simulacri (phantasmata).

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Nel primo caso (eikones) le immagini sono le icone del reale e ne costituiscono, quindi, la rappresentazione perfetta; nel secondo caso (i phantasmata) vengono prodotte delle immagini ingannevoli [1].

Per quanto riguarda la definizione che viene data da Aristotele, secondo quanto si può leggere nella Poetica, la poesia in quanto tale [2] non può essere altro che mimesis. Il fare poetico, in quanto mimesis praxeos, è imitazione di quell’altra forma del fare di cui si dice della praxis. In definitiva, secondo Aristotele, con il termine mimesis non si indica rappresentazione, ma ci si riferisce a un modo di operare simile a quello della natura.

Il cinema, in quanto arte creativa (Deleuze), si avvicina maggiormente alla specifica accezione platonica della nozione di mimesis. L’arte cinematografica, proprio in quanto mimesis, non è una semplice imitazione della realtà, ma è la produzione di una realtà diversa e autonoma e, in quanto tale, è regolata da norme non necessariamente coincidenti con quelle rispettate dalla realtà propriamente identificata in quanto tale.

Così, appare evidente una delle conseguenze più impressionanti: nell’universo istituito dalla mimesis cinematografica il principio di non-contraddizione («È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo. [3]») viene meno e, due conclusioni l’una opposta all’altra sono perfettamente possibili.

Due (o più) vicende parallele e contraddittorie possono essere entrambe reali, e non l’una alternativa all’altra, non l’una vera e l’altra falsa [4]. Nell’universo cinematografico la simultanea verità di due cose fra loro opposte è pienamente possibile (se non addirittura necessaria quando le possibilità tendenzialmente opposte sono la vita e la morte).

Di grande impatto è il film Destino cieco (Przypadek) di Krzysztof Kieślowski del 1981 [5], che potrebbe essere in grado di chiarire meglio le dinamiche della mimesis cinematografica. La trama della pellicola si divide in tre strade differenti a seguito di un fortuito incidente in una stazione ferroviaria. Le storie si susseguono in maniera lineare e sono propriamente le tre ipotetiche vite del protagonista.

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Sulla strada tracciata da questo film (ne prende direttamente spunto, infatti) si pone Sliding doors (Peter Howitt, 1998). Anche la vita di Helen arriva a sdoppiarsi e si da origine a un duplice binario lungo il quale si sviluppano eventi fra loro completamente opposti.

In Sliding doors, vi è la compresenza di due storie che hanno entrambe lo stesso grado di plausibilità e ciò che rende il film significativo e originale è che non soltanto le due storie non si escludono reciprocamente, ma arrivano ad essere anche l’una necessaria all’altra. Nell’epilogo del film, infatti, una di esse si risolve nell’altra ritrovando in essa il proprio completamento.

Tutto comincia con un piccolo e apparentemente innocuo evento deviante (lo scontro con l’uomo ubriaco in Destino cieco e la piccola deviazione che viene fatta o meno per la bambina che gioca sul corrimano in Sliding doors) che in realtà è in grado di stravolgere completamente la vita di un uomo/donna (che rimangono gli stessi; ciò che cambia è, apparentemente, il destino che li attende).

Ed è proprio il destino che, nonostante la lotta continua e serrata che può fare un uomo contro di esso per far primeggiare la libertà decisionale, fa in modo che gli epiloghi delle storie di Helen siano comunque in comunicazione: l’incontro di Helen con James avverrà comunque (e sempre attraverso il tramite dell’orecchino).

Così come in Destino (Der müde Tod,Fritz Lang – 1921) [6] la giovane innamorata, di cui la storia e le intenzioni ricordano quelle di Orfeo, non riesce a tirar fuori dal regno dei morti il proprio amore; proprio perché la lotta contro il destino è inutile. Essa stessa deve piegarsi agli eventi, accettare le regole del gioco e comprendere che per poterlo riabbracciare deve necessariamente rinunciare alla propria vita.

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«l’amore è forte come la morte»

Cira Pinto

Bibliografia:

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Lo schermo del pensiero, Umberto Curi.

Sofista, Platone.

Poetica, Aristotele.

Che cos’è l’atto di creazione, Gilles Deleuze.

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[1] Una distinzione analoga viene fatta nel Fedro, quando viene rievocata la vicenda di Elena (attraverso una tradizione alternativa rispetto a quella che viene raccontata da Omero). Nel passo platonico, infatti, che allude a una versione sostenuta anche da Erodoto e da Euripide, Elena non ha mai raggiunto Troia. Ciò che ha effettivamente varcato le porte della città è solo il suo eidolon, non la donna in carne e ossa. Conseguentemente, ciò che gli Achei hanno visto aggirarsi sulle mura non è Elena, ma soltanto la sua immagine ingannevole e, quindi, l’adulterio non si sarebbe mai consumato.
[2] Quella forma del “fare” che si esprime come poiein.
[3] Aristotele, Metafisica, Libro Gamma, Cap. 3, 1005 b 19-20.
[4] Un film di fondamentale importanza sulla relatività e sulle mille sfaccettature che può assumere la verità (e quindi, la realtà) è Rashomon di Akira Kurosawa (1950) in cui lo stesso avvenimento viene raccontato in 4 diverse versioni senza che sia data, alla fine del film, la “verità” una e univoca. In chiave comico-erotica, Mario Bava ne realizza una versione italiana: Quante volte… quella notte (1972).
[5] In un primo momento bloccato dalla censura polacca per motivi politici e sdoganato solo nel 1987.
[6] La scena del film in cui la ragazza entra nella sala illuminata da migliaia di candele ha ispirato il videoclip di Wrapped Around Your Finger dei Police.