Sergio Leone, l’antieroe del western all’italiana

Sergio Leone nasce a Roma il 3 gennaio del 1929 da Vincenzo Leone (regista avellinese considerato uno dei pionieri del cinema muto italiano e conosciuto con lo pseudonimo di Roberto Roberti) e da Edvige Valcarenghi (attrice romana nota come Bice Valerian).

Sergio Leone cresce nel quartiere di Trastevere ed è fin da piccolo notevolmente influenzato dal mondo cinematografico che lo circonda, dati i due genitori artisti.

Il suo esordio al cinema avviene molto presto, già a diciotto anni lavora come assistente volontario e fa da comparsa in Ladri di biciclette (De Sica – 1948).

Leone

Leone poi comincerà a interessarsi al genere peplum: sottogenere cinematografico dei film storici in costume che utilizza elementi storici e mitologici (solitamente quelli della cultura greco – romana) ed è assistente regista o direttore della seconda unità in alcune produzioni hollywoodiane che girano a Roma nel periodo della Hollywood sul Tevere.

In seguito è a lungo aiuto regista di Mario Bonnard e nel 1959 lo sostituisce sul set de Gli ultimi giorni di Pompei.

Nel 1961 ha la possibilità di dedicarsi a un film tutto suo: Il colosso di Rodi. Leone ambienta le vicende di due amanti nell’isola di Cipro: la figlia del re di Rodi (e finanziatore del colosso di bronzo protettore dell’isola) e un viaggiatore (l’eroe ateniese Dario).

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Ma Sergio Leone è conosciuto come il pioniere del western all’italiana di cui sarà il punto di riferimento per tutte le generazioni successive, è proprio nel 1964 che firma il capolavoro che lo impone all’attenzione generale: Per un pugno di dollari (firmato con lo pseudonimo di Robert Aldrich, in omaggio al padre), uno dei più famosi film appartenenti al genere del western all’italiana. Il film ha, tuttavia, uno spunto non originale mutuato da La sfida del samurai (Akira Kurosawa – 1961) il che gli è costato l’accusa di plagio da Kurosawa e la perdita dei diritti di distribuzione del film in Giappone, Corea del Sud e Taiwan.

Con Per un pugno di dollari, Sergio Leone reinventa il genere ridefinendo quelle che sono le principali caratteristiche del western (che stava ormai cominciando una fase di declino) e con i successivi Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966) completa quella che verrà definita la Trilogia del dollaro. Sono film che ripropongono una combinazione vincente: l’accattivante colonna sonora di Ennio Morricone, le interpretazioni sornione di Clint Eastwood e una dilatazione dei tempi narrativi che diventa, a tratti, paradossale.

C’era una volta il West (1967), che avrebbe dovuto essere il suo ultimo western, è girato negli scenari della Monument Valley, in Italia e in Spagna e allo stesso tempo conferma e infrange quelli che sono stati gli schemi utilizzati per la Trilogia del dollaro. Si presenta come una profonda meditazione sulla mitologia del West: Henry Fonda, il protagonista, assume i tratti di un assassino feroce e gli si contrappone Charles Bronson in una cupa vicenda di vendetta e di morte. Al soggetto collaborano anche Bernardo Bertolucci e Dario Argento, la sceneggiatura è stata invece scritta da Sergio Donati insieme a Leone.

Leone

Nel 1971 Leone dirige Giù la testa, interpretato da Rod Steiger e James Coburn e, nel frattempo, collabora a diverse sceneggiature e dirige diverse sequenze del film Il mio nome è nessuno (di Tonino Valerii). Nello stesso periodo gira le scene iniziali della pellicola Un genio, due compari, un pollo di Damiano Damiani e con la sua casa di produzione Refran produce Il gatto (1977 – Luigi Comencini) e Il giocattolo (1979 – Giuliano Montaldo).

Per circa dieci anni Sergio Leone lavora a un proprio progetto, che risulterà essere il suo capolavoro: C’era una volta in America (1984).

C’era una volta in America è il frutto di una lunghissima gestazione e non è più un western, ma un gangster movie. Il film colloca negli anni del proibizionismo una storia di gangster ed amicizia che si svolge in una parentesi lunga quasi quattro ore tra sangue e struggimento sfruttando attori del calibro di Robert De Niro e James Woods e la suggestiva colonna sonora di Ennio Morricone.

Il 30 aprile del 1989, però, si conclude la sua parabola artistica: Sergio Leone muore stroncato da un infarto mentre è alle prese con un progetto che avrebbe dovuto riguardare l’assedio di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale.

Lo stile e la tecnica di Sergio Leone

«Ford era ottimista, io sono un pessimista. I suoi eroi quando aprono una finestra scrutano l’orizzonte pieni di speranza. I miei personaggi quando aprono una finestra di solito si beccano una pallottola in mezzo agli occhi»

È così che lo stesso Leone riassume magistralmente le differenze del suo cinema con quello di John Ford, i suoi eroi ne sono la perfetta antitesi. Mancano completamente quelli che sono i tratti cavallereschi che caratterizzavano l’eroe fordiano: sono «brutti, sporchi e cattivi» e di solito combattono per denaro.

Tutto il cinema di Leone è eccessivo: la recitazione è spesso parossistica (con protagonisti che hanno un elevato grado di realismo: sono rozzi e sporchi), la musica extradiegetica è onnipresente e quasi ossessiva, i dialoghi sono urlati, le tecniche di ripresa sono ostentate e ricche di virtuosismi e i tempi narrativi si dilatano esponenzialmente con l’obiettivo di mettere i riflettori sui silenzi, su ciò che non viene detto.

«Da C’era una volta il West in poi il sogno americano di Leone inventa una delle più entusiasmanti avventure di emigrazione intellettuale di un europeo verso gli Stati Uniti degli ultimi cinquant’anni. Lo sguardo si allarga e il regista, pur mantenendo la capacità analitica di scomposizione dell’azione e di arresto del tempo, conquista il senso dello sguardo fordiano, il piacere di far cavalcare l’occhio entro coordinate geografiche conosciute»

– G. Brunetta

Cira Pinto

Bibliografia:

Introduzione alla storia del cinema, a cura di Paolo Bertetto.

– Storia del cinema italiano dal 1945 agli anni ottanta , Gian Piero Brunetta.

– Italo Moscati, Sergio Leone. Quando il cinema era grande.