Diana: la leggenda della bella siciliana a Napoli

Camillo Albanese, nel suo libro “Le Curiosità di Napoli”, ci racconta una struggente leggenda legata a una travagliata storia d’amore, la cui protagonista porta il nome di “Diana”, la bella siciliana.

Diana: un’affascinante camerista

Diana
La bellezza di una donna cinquecentesca

Il 9 gennaio del 1488 una nave aragonese, proveniente da Palermo, approdò nel porto di Napoli. Da quella nave, scese donna Ippolita di Cardona seguita da un gran numero di dame. Ella era giunta a Napoli per sposare Ferdinando d’Avalos, marchese di Pescara, fedelissimo a Alfonso V d’Aragona. Tra le dame del seguito, si distinse una giovane camerista, di nome Diana, subito identificata dai napoletani come la “bella siciliana”. Col passare dei mesi, Diana divenne la vera regina del palazzo d’Avalos, situato sulla collina che porta a Castel Sant’Elmo. La padrona voleva averla sempre con sé perché Diana aveva una voce incantevole ed era bravissima ad intrattenere la signora d’Avalos con canti che le ricordavano la sua amata terra. Anche il marchese non era indifferente a quel fascino femminile e il suo cuore iniziò ad essere turbato da quella presenza. Egli, però, negava a se stesso e negava al suo confessore, padre Onofrio, che nel proprio cuore divampava sempre più forte una passione incontenibile.

Il vero amore di Diana

Il cuore di Diana batteva per un bel cavaliere, Giovanni Antonio Tomacelli, detto Grisone (altro nome della famiglia Tomacelli) che frequentava la casa del marchese e che subito aveva notato la bellissima Diana. Iniziò tra loro un gioco di sguardi, sorrisi e ammiccamenti finché il cavaliere non si decise a dichiararsi. I due giovani da allora non smisero di cercarsi: ogni giorno l’uno cercava il volto dell’altra tra la gente di corte.

Albanese ci riporta quello che poteva essere un loro dialogo d’amore:

Un giorno don Giovanni Tomacelli, rimasto solo con la donna, esclamò supplichevole: «Diana, avete così profondamente colpito il mio cuore che esso è incapace di sopportare la vostra lontananza. Darei fino all’ultima stilla del mio sangue pur di condividere con voi questa mia struggente passione».

Un fremito percorse il corpo della donna, un’ansia le tolse il respiro, poi languida più che mai gli sussurrò: «Non turbatemi più oltre con queste parole, sapete che il vostro desiderio è il mio; la mia resistenza ha raggiunto i limiti dell’umana sopportazione. Non sogno che il momento in cui la mia anima e il mio corpo possano diventare di vostro assoluto ed eterno dominio».

«Fuggiamo !», fu la parola che echeggiò silenziosa nelle mura del palazzo d’Avalos.

La fuga e l’omicidio

Diana
Ritratto di Fernando Francesco d’Avalos. Si tratta del Ferdinando d’Avalos della leggenda ?

Una sera, con la complicità del custode, il cavaliere Tomacelli entrò segretamente nel palazzo con una scala che appoggiò al balcone di Diana ed ella si lasciò andare tra le sue braccia.

La mattina dopo, quando si scoprì che la stanza della camerista era stata trovata vuota, ci fu un grande clamore e il marchese si sentì infiammato di gelosia. Fino ad allora, non aveva compreso l’entità dei suoi sentimenti verso quella donna: fu solo in quel momento che capì di essere follemente innamorato di lei e di averla persa. Il marchese fece di tutto per scoprire dove fosse andata Diana e mise alle strette il custode che dovette confessargli la verità e il nome di colui che aveva portato via quel suo sogno d’amore proibito.

Nei giorni a seguire, per non dare nell’occhio, il cavaliere Tomacelli aveva deciso di tornare a palazzo d’Avalos, fingendosi meravigliato dall’accaduto, ma non notò negli occhi del marchese i lampi di odio e il desiderio di vendetta.

Una notte, mentre stava rientrando a casa per abbracciare la dolce Diana, Giovanni Tomacelli fu accoltellato da un uomo mascherato, che subito dopo fece perdere le sue tracce.

Tutti a Napoli sapevano chi era stato il mandante di quel delitto, ma il re Ferrante ordinò il massimo riserbo sull’assassinio. Infatti, la nobile famiglia d’Avalos era troppo legata alla corona aragonese e un processo avrebbe infangato il nome della dinastia. Lo stesso Ferrante si occupò di far rientrare la povera Diana in Sicilia: non poteva restare più a Napoli per non fomentare i pettegolezzi.

Diana tornò in Sicilia, ma non era più la stessa: portava nel cuore e negli occhi i segni di un dolore che non riuscì mai a cancellare.

Raffaela De Vivo

Bibliografia:

C. ALBANESE, Le curiosità di Napoli, Newton, Roma, 2007.