Leggerezza: il primo dei memos di Calvino

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Leggerezza è il titolo della prima delle Lezioni americane. Per Calvino diventa un fondamentale criterio discriminante nella storia della letteratura. Leggerezza come soluzione all’amara constatazione della pesantezza del vivere. La leggerezza è il dato qualitativo di ciò che sospinge Perseo (come i venti e le nubi), l’unico in grado di tagliare la testa alla medusa (in riferimento al famoso mito greco).  Allora questo mito può essere interpretato anche in chiave letteraria. Il poeta è colui che segue la bellezza, i valori positivi e trova il modo di tutelarli ad ogni costo. Lo stesso poeta che però non disdegna di guardare la realtà senza edulcorazioni o abellimenti. Lui studia solo la soluzione migliore per uscire dal labirinto, per scoprire ciò che nell’inferno dell’esistenza non è inferno.

Leggerezza: la prima delle Lezioni americane.

Leggerezza è il titolo del primo dei 6 memos che Calvino si apprestava a presentare agli studenti dell’università di Harward per l’anno accademico 1985-86 e che avrebbe tenuto se nel settembre dello stesso anno un ictus non l’avesse colto di sorpresa. La moglie Esther ha testimoniato che Calvino a quest’opera lavorò intensamente per due anni e (per quanto ancora la critica ne dibatta) assume un vero e proprio valore testamentario.  Non perché il testo sia cronologicamente vicino alla morte ma per lo statuto stesso dell’opera che avrebbe necessariamente portato Calvino a compendiare nell’opera tutte le sue convinzioni letterarie ed esistenziali.

Come ognuna delle lezioni americane è densa di rimandi letterari: si parte da Ovidio per giungere a Montale, Kundera, Lucrezio, Cavalcanti (posto come ideale della leggerezza, in opposizione a Dante, paradigma del peso), Valery, Dickinson; Shakespeare; Cyrano de Bergerac, Swift, Leopardi, fino alla chiusura con un famoso racconto di Kafka.

Kundera Montale e Kafka: tre esempi di ricerca della leggerezza.

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Eugenio Montale

Questa immenso repertorio letterario è tutto volto al sostegno della tesi suddetta: leggerezza come valore opposto dalla letteratura, dal desiderio, dalla finzione poetica al peso del vivere, alla condizione esistenziale in cui l’uomo è gettato, non solo con poche ancore di salvezza ma soprattutto con poche possibilità di comprensione del labirinto in cui si trova. Ecco perchè trova nel capolavoro di Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere la constatazione dell’ Ineluttabile pesantezza del vivere. Scrive Calvino:

non solo della condizione d’oppressione disperata e all-preveding che è toccata in sorte al suo sventurato paese, ma d’una condizione umana comune anche a noi, pur infinitamente più fortunati. il peso del vivere per Kundera sta in ogni forma di costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti. Il suo romanzo ci dimostra come nella vita che tutto quello che scegliamo e appreziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere. 

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Franz Kafka

Lo stesso discorso vale per il valore della leggerezza rintracciabile in Montale. Le immagini di La bufera che sono poste sempre nella contrapposizione tra quelle luccicanti, fragili, come la cipria dello specchietto o il cristallo; e quelle dell’inferno del presente rappresentato come l'”alalà di scherani” o “le croci a uncino” di Gioventù hitleriana o la grandine incessante in La bufera (lirica che da il nome alla raccolta).  La “lezione” procede tramite esempi tratti dai suddetti autori si conclude con il riferimento a un racconto di Kafka, Il cavaliere del secchio. Questo racconto a tratti surreale narra una condizione esistenziale e materiale agli estremi. Nel gelido inverno del 1917 un povero infreddolito esce cavalcando un secchio alla ricerca di carbone ed è impedito dalla moglie che lo scaccia come una mosca a chiedere il carbone al carbonaio. Di qui si reca nelle regioni delle Montagne di ghiaccio e muore. Scrive Calvino:

L’idea di questo secchio vuoto che ti solleva al di sopra del livello dove si trova l’aiuto ma anche l’egoismo degli altri,  il secchio vuoto, segno di privazione e desiderio e ricerca, che ti eleva al punto che la tua umile preghiera non potrà essere esaudita, – apre la strada a riflessioni senza fine. Avevo parlato dello sciamano e dell’eroe delle fiabe, della privazione sofferta che si trasforma in leggerezza e permette di volare nel regno in cui ogni mancanza è risarcita. Ma l’eroe di questo racconto di Kafka non sembra dotato di poteri sciamanici né stregoneschi; né il regno al di là delle Montagne di ghiaccio sembra quello in cui il secchio vuoto troverà di che riempirsi.

Luca Di Lello