Il cinema della modernità secondo Gilles Deleuze

Il cinema europeo della modernità presenta caratteristiche particolari che hanno segnato e influenzato tutta la cinematografia successiva. Ce lo spiega Gilles Deleuze.

Gli elementi caratteristici del cinema della modernità

Nel periodo che va dall’esaurirsi della spinta propulsiva del neorealismo italiano alla nascita delle nouvelles vagues, il cinema europeo potrebbe apparirci incapace di far fronte all’incontenibile concorrenza del cinema hollywoodiano. Tuttavia, nonostante effettivamente non ci sia un nuovo movimento innovatore, lo scenario europeo è occupato dalla presenza di un gruppo di autori il cui cinema si impone in tutto il mondo attraverso opere che saranno dei veri e propri casi culturali. Questo tipo di fenomeno, riuscirà a intensificarsi e a protrarsi anche per tutto il decennio successivo, nel quale avrà un fertile rapporto di interscambio con i film della nouvelles vagues vere e proprie.

Deleuze

Gli elementi che tengono insieme autori come Luis Buñuel, Ingmar Bergman, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Akira Kurosawa o Jacques Tati sono indiscutibilmente quelli legati al loro intimo rapporto con le loro opere:

– Il lavoro del regista si estende a tutte le fasi della lavorazione del film;
– Il film diventa uno strumento culturale con una discreta presenza di contenuti complessi;
– La funzione dello spettatore non è più solo ricreativa, ma è legata a un accrescimento culturale;
– Il film d’autore è ricco di elementi che sono intimamente legati a un determinato regista e fanno in modo che esso sia subito identificabile come film di uno piuttosto che di un altro.

Un aspetto da tenere a mente è quello il cinema della modernità è un cinema che si fonda su un’idea di assoluta libertà e, quindi, non possiamo pensare a lui come un’entità monolitica, ma come un insieme di elementi diversi.

L’immagine-tempo di Gilles Deleuze

Con l’evoluzione delle tecniche cinematografiche e soprattutto con la scoperta del montaggio, nascono tutti quei procedimenti narrativi volti alla manipolazione della dimensione temporale (flashback, flashforward, ellissi, montaggio frequentativo).

Ci saranno poi autori come Bazin che cominciano a riconoscere nel cinema la modalità più adeguata di rappresentazione del tempo inteso come fluire ininterrotto, fluire che è anche il procedere misterioso della creazione artistica.

Il tempo come categoria filosofica è al centro del pensiero di Gilles Deleuze, il quale indica il carattere essenziale del cinema moderno nella sua capacità di mostrare «il tempo in persona».

Deleuze

Deleuze, nel testo L’Image-Mouvement (L’immagine – movimento, 1983) riallaccia le sue riflessioni sul cinema alle concezioni di Henry Bergson sulla natura del movimento e del tempo (Materia e memoria).

Afferma che il cinema, attraverso il montaggio, arriva a dare un’immagine del tempo che può essere diretta se legata alle immagini-tempo o indiretta se proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti.

Deleuze, nel testo L’Image-temps (Immagine-tempo, 1985), afferma che ad un cinema cosiddetto “classico” farà posto un cinema “moderno”.

Mentre l’immagine classica costruiva sequenze di montaggio secondo leggi di associazione o opposizione che sfociavano poi in concetti, l’immagine moderna instaura un “regno degli incommensurabili”, in cui le immagini non si associano più in maniera razionale, ma vengono spezzettate per poi essere riconcatenate.

Se nel cinema classico, caratterizzato dall’immagine-movimento, il tempo compare indirettamente attraverso l’operazione del montaggio, con la modernità, a partire dalla rottura degli schemi narrativi tradizionali, esso si rivela nel film in modo immediato, nelle sue operazioni fondamentali del presente che passa e del passato che si conserva.

Ora, la macchina da presa agisce come una coscienza giudicante, ritaglia una visione particolare dal flusso continuo della materia e, isolando una sezione nell’insieme infinito delle immagini, agisce come lo schermo nero posto dietro la lastra fotografica che fa sì che l’immagine si distacchi.

Lo spettatore stesso, adesso, vorrebbe oltrepassare, bucare la “quarta parete”, ed entrare direttamente nello schermo e cogliere fino in fondo i segreti della “macchina delle emozioni”. Esso non è più vittima del “cinema della trasparenza”, del découpage classico, della fluidità narrativa, in altre parole, dello spettacolo che mira a confondere la realtà rappresentata con quella esistente fuori dalla cornice dello schermo.

Il cinema, come filosofia, può porre ora delle domande trascendenti o esistenziali, domande su Dio o sulla vita, e le pone attraverso delle immagini mentali che non rappresentano il pensiero di qualcuno, ma concernono gli stessi oggetti che possiedono un’esistenza propria al di fuori del pensiero e la relazione che si stabilisce tra essi.

E a questo punto l’interpretazione si fa necessaria per la comprensione di queste immagini, per cogliere la relazione che le lega, poiché esse non sono unite naturalmente nello spirito, ma in virtù di una legge esterna.

Deleuze afferma che in questo nuovo processo di creazione si deve arrivare a un’immagine capace di presentare direttamente e senza negazioni il tempo nel suo funzionamento. E per lui sarà l’immagine cristallo ad attuare questo processo.

La nuova immagine allude a visioni del mondo alternative dove il tempo può seguire una linea spezzata o un percorso circolare e non essere più strutturato secondo l’idea di un fine a cui tendere, essa si produce quando l’immagine presenta una doppia faccia insieme attuale e virtuale, producendo una nuova forma di indiscernibilità.

Potremmo dire, poi, che la costante manipolazione della trama spazio-temporale, messa in atto dal cinema, ha abituato la mente dello spettatore a considerare, con maggiore elasticità, le categorie percettibili di Spazio e Tempo.

Il tempo è messo in rapporto con la percezione che lo spettatore ne ha; e la percezione che lo spettatore ne ha dipende a sua volta dalla “verità” dell’immagine, dalla sua portata semantica.

Per evidenziare tale portata semantica il regista può addirittura liberarla dal tempo, fissarla a una sorta di istante eterno. Così come può farla scorrere sull’asse temporale fino ad allontanarla infinitamente dal momento presente.

Ed è a questo punto che il cinema diviene un vero e proprio strumento nelle mani del regista, uno strumento finalmente in grado di rappresentare direttamente il tempo.

Infine, il regista stesso diviene un pensatore, un filosofo, in quanto può sfruttare le potenzialità dell’immagine e creare.

Cira Pinto

Bibliografia:

L’immagine-tempo, Gilles Deleuze.

-L’immagine-movimento, Gilles Deleuze.

-Introduzione alla storia del cinema, Paolo Bertetto.