La neolingua in 1984: una riflessione

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Un manifesto del partito che incoraggia lo “stopreato”, corrispondente in neolingua alla capacità di riconoscere e fermare uno “psicoreato” prima che esso possa radicarsi nella mente.

1984 è uno dei capolavori della letteratura distopica. Ne abbiamo parlato qui.

Dell’inquietante totalitarismo descritto da Orwell, quale meccanismo ci spaventa di più? Uno dei temi più interessanti è quello del condizionamento del pensiero. In una democrazia può apparire difficile l’idea che qualcuno ci faccia un lavaggio del cervello, ma siamo proprio sicuri di pensare con la nostra testa? Attraverso quale mezzo potremmo essere condizionati anche noi?

Secondo Orwell questo condizionamento avverrebbe primariamente attraverso la modificazione della lingua: sgrossando gradualmente il dizionario della lingua inglese, il regime avrebbe via via eliminato ogni possibile “eresia” alla radice, cioè eliminando la parola per esprimerla.

“Fine della Neolingua non era soltanto quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero.”

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“La lingua non serve solo ad esprimere il pensiero, ma a rendere possibili pensieri che non esisterebbero senza di essa.”

A questo punto quindi appare lecito chiedersi:

La lingua può condizionare il pensiero?

Se intendiamo che la direzione sia univoca, cioè che il linguaggio influenzi il nostro modo di pensare e non viceversa, allora la risposta è no.

Piuttosto, dobbiamo immaginare il sistema cognitivo come strettamente collegato a quello linguistico, e in tal senso ci sarebbe un’influenza reciproca tra i due livelli. La lingua stessa, infatti, viene definita dai linguisti come “codice”, cioè sistema di corrispondenze tra due piani: l’uno è quello dell’espressione fisicamente percepibile, l’altro ha a che fare con il contenuto associato a tale espressione. La grandiosità del codice lingua rispetto ad altri (come ad esempio quello matematico) sta nella non-biunivocità tra i due piani: in parole povere, ad una stessa espressione posso attribuire più significati e, al contempo, uno stesso significato può essere espresso attraverso forme differenti. Proprio questo apparente difetto, definito ambiguità, sta alla base della creatività: per esempio, ad ogni pensiero neo-nato è possibile attribuire una forma linguistica già nota, investendola di un significato nuovo.

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“Se i pensieri corrompono la lingua, anche la lingua può corrompere il pensiero.”

Secondo i teorici della relatività linguistica (E. Sapir e B.L. Whorf sono i più rappresentativi), la lingua permetterebbe perfino di “forgiare l’intera visione del mondo“.

I principi della neolingua

Analizziamo brevemente due dei cardini sui quali si basa la “lingua totalitaria” immaginata da Orwell.

1) soppressione di significati eterodossi.

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“La lingua è l’abito della mente”

Quest’azione è particolarmente rilevante, perché consiste nel modificare un principio che sta alla base di tutte lelingue del mondo e a cui abbiamo già accennato: il rapporto ambiguo tra espressione e contenuti. In neolingua ogni parola avrebbe un significato univoco, rigido e stabilito una volta per tutte.

“La parola “libero” esisteva ancora in Neolingua, ma poteva essere usata solo in frasi come “questo cane è libero da pulci” […]. Non poteva essere usata nell’antico significato di “politicamente libero” o “intellettualmente libero”, dal momento che la libertà politica e intellettuale non esisteva più nemmeno come concetto.”

In questo senso, dunque, la modificazione agirebbe ad un livello più profondo della forma, quello della semantica: ciò che viene a mancare non è la parola, ma il significato ad essa associato. Se non è brainwashing questo…

2) modificazione di aggettivi, comparativi e superlativi. 

L’aggettivo è una parte del discorso atta a modificare o specificare il significato del sostantivo a cui è riferito, e nella sua forma comparativa e superlativa agisce spesso in senso valutativo. Valutazione, dunque, potenzialmente pericolosa perché passibile di eterodossia. In neolingua sarebbe possibile potenziare o de-potenziare gli aggettivi attraverso la giustapposizione di elementi quasi matematici, scavalcando quindi l’importante funzione valutativa degli aggettivi.neolingua

“Prendiamo la parola buono, per esempio. Se c’è una parola come buono, a che serve una parola come cattivo? La parola sbuono servirà altrettanto bene, se non meglio… perché costituisce un opposto preciso, mentre l’altra parola non lo costituisce affatto. O ancora, se vuoi qualcosa di meglio, di più forte che buono, che ragione c’è di mantenere una serie di parole imprecise, vaghe, inutili come eccellente, o splendido, o il resto che sai? Plusbuono servirà a dare tutti i significati, ovvero bisplusbuono se ci sarà bisogno di qualcosa di più forte.”

L’evidente conseguenza è l’appiattimento, l’impossibilità di aggiungere qualcosa di proprio, di nuovo: un individuo parlante in neolingua sarebbe solo una perfetta marionetta del sistema. Togliere alla lingua la sua vaghezza significa privare l’uomo di un importante strumento conoscitivo e creativo.

Non ci resta altro che riflettere sulla lingua che anche noi utilizziamo quotidianamente, considerandola magari solo uno mezzo utile al fine della comunicazione. Quanto peso diamo veramente alle parole che utilizziamo?

Maria Fiorella Suozzo

Fonti

citazioni: 1984, George Orwell; appendice sui principi della neolingua

immagini: google images

informazioni linguistiche: “La linguistica. Un corso introduttivo” G. Berruto, M. Cerruti