Il bandito delle 11: il film di Jean-Luc Godard

Gli anni sessanta sono riconosciuti come uno dei periodi più floridi della storia del cinema europeo, specialmente per il cinema francese e italiano, un’esplosione di creatività e di novità che fu capace di mettere in ginocchio perfino Hollywood. Così, in questa stagione di profondo fermento intellettuale, tra un Fellini e Truffaut, si colloca “Il bandito delle 11“, conosciuto con il suo titolo originale di “Pierrot le fou“. Il film, uscito nelle sale tra il 1965 e il 1966, è diretto e sceneggiato dall’indiscusso maestro della Nouvelle vague Jean-Luc Godard. La fotografia invece, uno dei punti di forza e motore di quest’opera, è affidata ad un magistrale Raoul Coutard, che già aveva collaborato precedentemente con Godard nell’opera “Fino all’ultimo respiro”. Tra il cast due dei migliori attori francesi del tempo, Jean Paul Belmondo e Anna Karina (al tempo moglie del regista francese).

Il bandito delle 11

Ferdinand (Jean Paul Belmondo), stanco e disgustato della vita borghese e del proprio matrimonio, decide di fuggire con la giovane Marianne (Anna Karina), la quale è coinvolta nel commercio delle armi del fratello Fred (Dik Sanders); infatti, nell’appartamento parigino della donna non è nascosto solo un cadavere, ma anche armi e una valigia piena di dollari. La coppia una volta presi i soldi, si dirige verso sud nel tentativo di sfuggire a due sicari legati al mondo della politica. Il loro viaggio cambia quando la loro macchina va in fuoco insieme ai soldi, a quel punto ai giovani non resta che vivere di piccoli furti, di pesca e di caccia per raggiungere pian piano un’ipotetica meta. Ferdinand passa il tempo dedicandosi alla lettura, Marianne invece, con la stessa curiosità di un bambino, cerca un modo per esprimere la sua vitalità e la sua voglia di vivere.

Il bandito delle 11

A poco a poco però Marianne si accorge di non essere fatta per questa vita e tra i due si rivela una radicale incomunicabilità, che si dimostra più forte del sentimento d’amore stesso. Lascia Ferdinand, poi torna, chiedendo all’uomo di aiutarla per un colpo. Ferdinand accetta, eccitato dall’idea di una nuova avventura, ma la nuova azione gli dimostra il definitivo abbandono da parte della donna che ha  un nuovo compagno. Ferdinand, ormai accecato dalla rabbia e disilluso, uccide entrambi e dopo essere sfuggito alla reazione degli altri sicari, si ucciderà, con la speranza di trovare in un altro mondo la possibilità di un’unione autentica con la donna amata.

Il bandito delle 11 e la sua vivacità intellettuale

Il bandito delle 11 potrebbe sembrare un classico poliziesco, tipico modello americano, ma a guardarlo ci si accorge che è ben altra cosa. Già prima di quest’opera, con il film “Fino all’ultimo respiro”, il regista francese si era cimentato nell’impresa di uscire fuori dalla dimensione della Nouvelle vague, cercando di superare e scardinare le imposizioni del cinema narrativo, da questo punto di vista quindi Il bandito delle 11 è la continuazione ideale di questa strada intrapresa dal regista. Si è parlato di superamento di cinema narrativo, di fatto questo film è come se fosse privo di una vera e propria sceneggiatura, l’improvvisazione sembra dominare i personaggi e la spontaneità ne fa da contorno. Il film rinuncia ad una logica lineare per seguire una logica singolare, sembra seguire associazioni di idee, che vista da lontano, va a formare un unico grande collage che si pone in antitesi alla struttura classica narrativa

Il bandito delle 11

Il film è dotato di una particolare vivacità intellettuale, Godard inserisce improvvise citazioni cinematografiche e letterarie; il film è un susseguirsi di generi e di situazioni, si passa dal road movie al melodramma, dal film d’azione poliziesco alla commedia grottesca, improvvise esplosioni di romanticismo seguite da piccoli crimini e incontri con personaggi poco raccomandabili. La frase di Fuller, che enuncia a Ferdinand la sua visione del cinema, non è solo un anticipazione del film, ma è soprattutto una riflessione sul cinema. Il bandito delle ore 11 è un’opera di critica cinematografica filmata; così le improvvise interruzioni della finzione cinematografica, diventano un invito per lo spettatore, al quale è richiesto di vedere il film con la predisposizione mentale critica.

Karina-Belmondo e il potere della fotografia

L’importanza di questo film sta anche nell’interpretazione magistrale di Karina e Belmondo. La prima, che impersona Marianne, riesce ad interpretare un personaggio che è allo stesso tempo femme fatale con il suo fascino anarchico e portatrice di un modo di approcciarsi alle cose tipico dei bambini. Belmondo, invece, dietro al suo viso da eterno e strafottente sognatore, interpreta un personaggio che in realtà nasconde alla fine una certa vulnerabilità, che si rivelerà alla fine fatale. A far da sfondo a queste due interpretazioni, c’è poi la fotografia di Coutard, che con i suoi accostamenti geniali di colori primari, ottenuti in formato cinemascope, promette ai personaggi una felicità e un mondo, che poi si riveleranno illusori, trasformando l’elogio di una vita diversa nel trionfo della morte.

Il bandito delle 11

 

Roberto Carli