Il cinema dell’avanguardia sovietica degli anni 20

Negli ultimi due articoli di Rewind the tape ci siamo approcciati prima all’avanguardia tedesca e poi a quella francese del primo dopoguerra. Ora, invece, concluderemo il capitolo sulle avanguardie dedicandoci al cinema dell’avanguardia sovietica.

L’avanguardia sovietica, accenni storici

Il cinema dell’avanguardia sovietica si instaura in un quadro storico ben preciso: siamo in una Russia che ha appena superato la Rivoluzione d’ottobre (1918) e nonostante fosse stata una rivoluzione vittoriosa ella si inserisce in un contesto di miseria e arretratezza nel quadro di una politica culturale gestita dal partito unico del proletariato (il partito comunista bolscevico).

Nonostante ciò, il cinema dell’avanguardia sovietica degli anni Venti rappresenta un momento di grande sviluppo dal punto di vista sia teorico che filmico. Questo grande interesse nei confronti del cinema è da imputare al fatto che esso viene immediatamente percepito come un forte strumento di agitazione ed è, inoltre, dotato di una capacità espressiva ancora largamente inesplorata.

I cineasti russi degli anni Venti (Kulešov, Vertov, Ėjzenštejn, Pudovkin) partono tutti da un rifiuto nei confronti di uno spettacolo in cui lo spettatore è un soggetto passivo e inerte, per abbracciare un cinema dove quest’ultimo è continuamente stimolato.

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Dziga Vertov e il cine-occhio

È stato uno dei cineasti più sovversivi e radicali di quest’epoca.

Il suo primo cortometraggio è L’anniversario della Rivoluzione (1919) ma è nel 1924 che, attraverso quello che poi sarà considerato il suo film-manifesto (Kinoglaz), lancia la teoria del cine-occhio; nella quale esalta le potenzialità della macchina da presa e dello sguardo meccanico.

Vertov pensa e realizza un cinema non-recitato, è impegnato a cogliere la vita alla sprovvista e a imporre il linguaggio degli eventi nella loro immediatezza.

Sarà poi con L’uomo con la macchina da presa (1929) che Vertov esprimerà tutta la sua genialità.

In questo film descrive un’intera giornata a Mosca, ma manca qualsiasi forma di narrazione; non c’è una storia né l’intento di un documentario.

Si tratta di un puro tessuto di immagini che generano poesia visiva.

L’effetto Kulešov

Un nuovo uso del montaggio viene scoperto da Lev Kulešov, il quale mette a punto un esperimento che dimostra come il senso dell’inquadratura possa cambiare in funzione del contesto in cui viene inserito.

Questo esperimento consiste nella selezione di un’inquadratura con il primo piano di Ivan Mozžuchin (che non esprimesse nessuna emozione in particolare) e frammenti di altre pellicole d’archivio.

Si generano così diverse combinazioni:

  1. Mozžuchin e un piatto di zuppa;
  2. Mozžuchin e una donna in una bara;
  3. Mozžuchin e una bambina che gioca.

Quando le combinazioni sono state mostrate al pubblico gli spettatori hanno avuto la sensazione che di fronte al piatto di zuppa Mozžuchin avesse espresso appetito; di fronte alla bara tristezza e di fronte alla bambina gioia.

Questa creazione di una narrativa visuale coerente verrà poi definita dallo stesso Kulešov geografia creativa.

Pudovkin

Pudovkin è allievo, insieme a Ėjzenštejn, di Kulešov e attore ed è stato a lungo considerato come un esempio di cineasta sovietico realista.

I suoi scritti sulla regia e sul montaggio costituiscono una riflessione sulla centralità del montaggio, il quale può anche arricchire la narrazione con inserti analogici. È un’idea di narrazione epica, organizzata attorno al modello della presa di coscienza di un personaggio popolare che nel corso del film capisce le dinamiche sociali e decide di diventare attivo nella lotta di classe.

I suoi film (La Madre, 1926; Tempeste sull’Asia, 1928; La fine di San Pietroburgo, 1927) sviluppano una struttura realistico-descrittiva che è funzionale alla proposizione di un messaggio ideologico-politico e si ricorre anche a soluzioni di montaggio analogico1.

Ėjzenštejn e il cine-pugno

Sergej M. Ėjzenštejn rappresenta insieme il vertice del cinema sovietico e l’esperienza di più complessa affermazione della teoria del cinema e dell’arte rivoluzionaria.

Dopo aver lavorato a teatro con Mejercho’d elabora la teoria delle attrazioni: con questo procedimento intende scuotere lo spettatore con una sorta di violenza visiva, suscitando emozioni e nuove idee. Nel montaggio delle attrazioni tutto è disordinato, incompleto e lo spettatore è indotto a fare uno sforzo attivo per ricomporre il senso della storia.

Contro il cine-occhio di Vertov egli afferma il cine-pugno: l’accostamento di due inquadrature non deve avvenire per accumulazione e omogeneità, ma per contrasto, scontro, disomogeneità. Il montaggio è conflitto, un «pensiero che trae origine dallo scontro di due pezzi, indipendenti l’uno dall’altro»2.

Il cine-pugno mira a colpire lo spettatore attraverso le immagini, con primi piani improvvisi e molto ravvicinati, espressioni violente e azioni serrate.

Il film in cui Ėjzenštejn sperimenta entrambe le teorie è La corazzata Potemkin (1925).

Gli esempi di cine-pugni sono il primissimo piano del volto della madre nella famosissima scena della scalinata di Odessa o il dettaglio della donna colpita da una sciabolata che le ha distrutto gli occhiali. C’è poi l’utilizzo del montaggio delle attrazioni che crea un senso di caos e smarrimento nello spettatore; gli eventi vengono mostrati velocemente e in maniera frammentaria, senza dare allo spettatore il tempo di capire.

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«[…]nell’epica sequenza della scalinata, morti e feriti giacciono riversi sui gradini. L’inquadratura riprende volti umani cosparsi di sangue e inondati di lacrime. Subito dopo, riprende anche i cosacchi che sparano sulla folla, ma lo spettatore non vede che i loro stivali: non sono più uomini, ma stivali che calpestano volti umani. E tanto stupidi e infami essi ci appaiono che istintivamente lo spettatore si ribella. Ecco l’effetto metaforico del film.»

-Béla Balàzs

Cira Pinto

1 Montaggio analogico: accostamento di immagini accomunate non da motivi narrativi.

2 Drammaturgia della forma cinematografica, pag. 22.