L’impressionismo francese del primo dopoguerra, accenni

Avanguardie in Francia

Nello scorso articolo abbiamo cominciato ad introdurci alle avanguardie europee degli anni Venti dedicandoci in particolare all’espressionismo tedesco. In questo nuovo appuntamento della nostra rubrica cercheremo invece di far luce sull’impressionismo francese del primo dopoguerra.

L’impressionismo francese

Dopo la prima guerra mondiale, la Francia vive un periodo di benessere caratterizzato dal forte sviluppo industriale. Tuttavia, per quanto riguarda il cinema, la produzione nazionale degli anni Venti risulta essere meno prosperosa delle contemporanee realtà tedesche e americane.

Nonostante ciò, Parigi è la grande capitale culturale d’Europa e in questo periodo storico vi è un grosso sviluppo delle associazioni di amici del cinema e dei cineclub. Ci sono manifestazioni, rassegne, dibattiti e riviste che fanno in modo che finalmente si possa pensare al cinema come una forma d’arte.

Risulta essere di importanza fondamentale le ricerche svolte dal cinema d’autore francese, definito impressionismo; avanguardia narrativa o première vague. Esso è legato a una forte riflessione sull’artisticità del cinema e più volte ha ispirato e indirizzato la riflessione teorica.

Il cinema, innanzitutto, è considerato come un’arte che dialoga con le altre arti. Forte, comunque, è il legame con la musica: il cinema, come la musica viene considerato come arte nel tempo e organizzazione del ritmo. Il ritmo, nel cinema, è assicurato da un insieme di movimenti posti in rapporto ad altri fattori definiti e diviene il risultato di una sintesi tra il dinamismo interno all’inquadratura e la successione delle inquadrature.Questa ricerca del ritmo visivo comporta naturalmente l’attribuzione di un ruolo centrale al montaggio, il quale deve garantire l’effetto dinamico nel tempo e assicurare il ritmo musicale delle immagini.

Il cinema d’avanguardia francese si è impegnato anche nello studio dell’immagine filmica, comparandola con la forma pittorica e cercando di esaminarla nella sua specificità.

Il dibattito sulla fotogenia si sviluppa proprio in Francia nella seconda metà degli anni Dieci e ha come protagonisti Louis Delluc, Béla Balázs e Jean Epstein.

La discussione è nata a seguito della visione di un film americano, I prevaricatori (Cecil B. De Mille, 1915) dove il protagonista (Sessue Hayakawa) ha un volto fortemente espressivo ed è in grado di trasmettere, grazie all’intensità dei suoi occhi, una forte sensazione di mistero.

impressionismo francese

«Il suo viso è come un’opera di poesia il cui motivo non c’importa, quando la nostra voglia di bellezza vi trova la nota o il riflesso sperato» – Delluc1

E sarà proprio il cineasta e critico Delluc a teorizzare la fotogenia come qualità specifica dell’immagine filmica:

«Definirò fotogenico ogni aspetto delle cose, degli esseri, delle anime che accresce la propria qualità morale attraverso la riproduzione cinematografica»2.

Il discorso sulla fotogenia porta a una vera e propria rivoluzione intellettuale e poetica; attraverso essa si può esprimere la possibilità di cogliere l’immediatezza delle persone, dei gesti, dei volti.

I registi dell’impressionismo francese lavorano soprattutto su soggetti e strutture narrative tratti da romanzi e racconti dal sapore tradizionale e post-romantico. Sono soggetti legati a drammi personali, insoddisfatti dall’impossibilità di soddisfare i propri desideri a causa delle costrizioni sociali e dal moralismo.

La Roue (La rosa sulle rotaie) del 1922 di Gance è la storia di una passione platonica incestuosa di un ferroviere per una giovane adottata. In questo film gli effetti più rilevanti sono quelli di un dinamismo raggiunto grazie ad un montaggio accelerato, il quale è capace di intrecciare la velocità del treno, le ruote, le componenti meccaniche. Questa intensificazione del movimento è ottenuta sia grazie a riprese efficaci della velocità, sia con un montaggio di segmenti sempre più brevi.

https://www.youtube.com/watch?v=SmQj9fETRN8

Vi sono poi esperienze di alterazione dei contorni del mondo che riescono a mostrare un’ulteriore potenzialità del cinema, si lasciano emergere le immagini e i percorsi della psiche individuale (vedi, ad esempio, La folie du dr. Tube del 1916 diretto sempre da Gance).

In Napoléon (1927), Gance fa uso di varie innovazioni tecniche: una scena di inseguimento, ad esempio, è stata girata con una camera posta sul dorso di un cavallo al galoppo e la scena iniziale è stata girata con una camera a mano (una tecnica mai utilizzata prima). Vi è poi anche un uso del montaggio assolutamente innovativo; vi sono inquadrature brevissime, sovrimpressioni e la parte finale del film è stata girata per essere proiettata da tre proiettori su altrettanti schermi (a volte per allargare l’angolo di visione e altre per mostrare tre diverse sequenze con le tre pellicole che sul finale virano verso il blu, il bianco e il rosso).

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Il cinema di Jean Epstein si dirige invece su una studio caratterizzato dalla ricerca di stati d’animo, di impressioni fugaci, è un cinema che insegue le dinamiche psicologiche dei personaggi. Le sue tecniche di messa in scena vogliono sottolineare la mutevolezza dei sentimenti e delle persone.

Epstein usa montaggi rapidi, evocativi, sono film dedicati a personaggi sfuggenti, che hanno crisi psicologiche.

https://www.youtube.com/watch?v=fQsJRbKA1bk

L‘impressionismo francese dura dal 1918 al 1929 circa, le cause del suo declino sono varie e sono imputabili forse a un’eccessiva diversificazione stilistica che inevitabilmente ne ha intaccato la compattezza. È verso la fine degli anni Venti, comunque, che la grande distribuzione comincia a perdere interesse per i film impressionisti e cerca di imporre a questi registi scelte svincolate dalle ricerche di pura sperimentazione formale.

Cira Pinto

1Cit, L’avventura del cinematografo, Sandro Bernardi, Venezia, 2007, pag. 96.

2Jean Epstein, Cinema&Cinema n.64