Michele Colucci, un artista “preparato”

Questa settimana cambiamo obiettivo: da ambienti elettronici a sperimentazione pianistica. Michele Colucci, talento cristallino, è su LaCOOLtura per parlarci un po’ di sé.

Michele Colucci

Michele Colucci: l’uomo dietro il pianoforte.

Incontriamo Michele in una giornata nuvolosa, appena dopo il tramonto. Scende dall’auto e in mano ha un libro, rosso; è lui a guidarci e si vede da subito. La location scelta è un bar di fronte al teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere, classicità e sperimentazione che si osservano: lontani ma tendenti l’una all’altra vicendevolmente, spesso senza saperlo. Il luogo ci sembrava adatto, ed infatti rendeva il tutto più suggestivo nonostante i temi trattati lo fossero già di per sé: silenzio e suono, limite e formazione, Arte e tecnologia.
Sono arrivati i caffè ed è partita la giostra, un’ ora di chiacchierata tra Beethoven e Sciarrino. Per conoscere non solo il pianista, ma l’uomo reale che preme i tasti, che si prepara all’esibizione; i suoi sentimenti, le sue emozioni, la filosofia dietro un brano. Lo sforzo di suonare ancora, ancora e ancora, sin da piccolo, quando gli amichetti uscivano a giocare. Il sacrificio è dietro ogni lavoro, e quello di Michele Colucci è simbolo di quanto la fatica a volte ricompensi soprattutto in campo artistico. Ed è di questo che volevamo parlare, della persona oltre lo strumento; non volevamo sapere cosa fa Michele Colucci ma chi è Michele Colucci.
A voi lasciamo il giudizio se l’operazione sia riuscita, a noi il compito di porre le domande giuste e la speranza di averlo fatto correttamente: perché a volte scegliere i pennelli è complesso quanto dipingere un quadro.

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Iniziamo dal trasferimento, iniziamo da Maiorano di Monte. I perché di questo cambiamento e quanto quest’ultimo abbia influito sulla tua produzione musicale.

Ha indubbiamente contribuito tantissimo. Il progetto si avvicina tantissimo al silenzio, ed il silenzio e la natura di quei luoghi hanno influito enormemente sul risultato finale. Sciarrino, un pensatore della seconda metà del ‘900 a cui mi sono fortemente ispirato come base ideologica dell’intero sistema, scriveva (prende il libro, ndr):

se ogni suono comincia dal silenzio e necessariamente vi ritorna non vi è confine tra l’uno e l’altro.

Il silenzio ha un rapporto con il suono, non esiste in quanto tale − come tra l’altro sosteneva John Cage − ed è una contaminazione che va oltre questa produzione. Chiaramente un artista non può vivere solo di silenzio, ed è importante non auto-limitarsi in alcun modo nei contatti con il mondo esterno.

Michele Colucci

Ecco. Va bene il silenzio, ma quanto è fondamentale viaggiare per un artista?

Non si può parlare di ‘viaggiare’ limitatamente al viaggio fisico, cioè lo spostarsi asetticamente in un luogo. Fondamentale è il pre-viaggio, tramite la tecnologia: sapere cosa ti aspetta in un luogo è essenziale per poi approcciarsi correttamente ad esso e strutturare una creatività consequenziale. D’altronde la pratica del viaggio a scopo istruttivo per un artista risale a tanto tempo fa: basti pensare al ‘Grand Tour’ che compivano i nobili nei secoli scorsi attraverso il nostro Paese. E forse la loro era una fortuna ! Venire a contatto direttamente con l’opera, senza la mediazione di un testo, è una vivida rappresentazione di ciò che diceva Benjamin: hic et nunc, l’Arte va apprezzata e vissuta in prima persona.

Parliamo quindi di esperienze in prima persona ma continuando il percorso artistico. Quanto hanno contribuito il restauro e gli studi artistici accademici nella tua produzione?

Il rapporto tra altre forme d’Arte e Musica non è lontano, bensì strettamente collegato. C’è una Legge Universale dell’Arte che fonde ogni campo e la musica che è il mezzo di comunicazione più astratto non può non risentirne. Sicuramente un artista vive di ‘impulsi’ esterni ed è da essi completamente stimolato; e torniamo al discorso dell’opera in prima persona, quel ‘qui ed ora’ che non è possibile eliminare dall’equazione. Il punto di vista è strettamente personale e centrale, e questo l’ho capito proprio a Maiorano di Monte che ha prodotto vibrazioni positive nel mio essere artistico, quando ad esempio il brusio di fondo di Roma era a volte disturbante.

Michele Colucci

Ora andiamo sulle esperienze in prima persona strettamente musicali. La tua formazione, i tuoi momenti più importanti, la tua storia, cosa ha creato il Michele Colucci che è adesso di fronte a noi. E poi: cosa ti piace ascoltare da fruitore di musica e non (solo) da creatore di armonie?

Due momenti sopra tutti: i Deep Halls e Madre Terra. Con i Deep Halls, la mia prima e storica cover band, mi sono confrontato con un nuovo genere, il rock, studiando storici gruppi; ho conosciuto il primo mixer, ho compreso come mescolare i suoni, ho sperimentato un approccio di insieme tanto diverso da quell’attenzione su di te che invece porta una prestazione ‘a solo’, in cui ci siamo io ed il pianoforte. Ecco, i Deep Halls hanno segnato un prima ed un dopo e mi hanno spinto a sperimentare tanto negli anni seguenti. Madre Terra è un viaggio sonoro reale, nato per trasportare il fruitore nel globo; ascoltando il live, ti trovi spostato dal Tibet all’America passando per Napoli e la Francia. Studiando gli strumenti di alcune etnie e le relative armonizzazioni ho poi trovato influenze per il progetto successivo, appunto quello del pianoforte preparato.
Come fruitore di musica? Eh beh, si apre un mondo. Alla spicciolata: Bluvertigo, tanto. Dalla musica classica al progressive italiano passando per Sigur Ròs e Radiohead, ma ultimamente ascolto i Caribou. Insomma, si va per generi; ed anche qui mi riesce difficile trovare un genere che ‘piace’ o che ‘non piace’: da tutto si può imparare.
Ad esempio in un brano utilizzo un generatore magnetico, ispirato all’e-bow del bassista dei Sigur Ròs, che fa vibrare la corda per creare un’arcata senza fine. Tutto è ispirazione, anche se utilizzato in un altro contesto.

Ma la tua è una formazione classica. Oggi secondo te è importante avere una base forte per accedere alla sperimentazione oppure si deve dare da subito libero sfogo alle proprie pulsioni innovative?

Il pianoforte ha ottantotto tasti; bisogna conoscere la maggior parte delle armonie creabili per poter poi rompere quel ‘muro’ con la sperimentazione. Non si può violare una regola senza saperne il ‘canone’ standard. Certo, uno ogni dieci miliardi non ha studiato: ma in quel caso l”ambiente’ studia per loro. Prendi Mozart, figlio d’arte con il padre violinista; è nato in quel contesto e ne è stato facilitato. Anche se il rischio di approcciarsi in maniera conservatrice allo strumento è forte e presente soprattutto nei Conservatori italiani; a mio avviso, uno studente dell’ultimo anno dovrebbe essere maggiormente incentivato nel confrontarsi con un linguaggio musicale diverso.

In maniera più sperimentale, insomma. E la tua propensione a preparare il pianoforte da dove deriva?

Il concetto chiave in questo caso è quello di ‘limite’. Nel mio caso il limite è quello delle sonorità del pianoforte; Bach sosteneva che lo strumento un po’ scordato era ‘più bello’, io lo preparo con piccoli oggetti per ottenere determinate sonorità. Bisogna dissacrare un po’ la propria storia, superando l’ostacolo che generalmente pone lo strumento in primis e l’essere dell’artista stesso; infatti, il limite è armonico e mentale. C’è da rompere la propria formazione.
Beethoven, secondo me il primo rivoluzionario della musica classica (non per niente Morgan ha parlato di musica House in Beethoven ndr), ad esempio, aveva difficoltà a realizzare i ‘motivetti’, tanto cari ad esempio a Chopin, e per questo creava delle ‘finestre’ per trasportarci in periodi ben determinati e riuscendo così a superare il limite dell’armonizzazione.
Ed è per questo che ho chiamato il mio lavoro Fiabe: perché si trova in uno spazio di non realtà, quello in cui sono condotto attraverso la preparazione del pianoforte e del mio corpo che creano veri e propri personaggi − di fiabe, appunto. 

Michele Colucci

 

Oh, eccoci al tuo lavoro: Fiabe. Ci hai tolto il gusto di chiederti perché si chiami così, almeno permettici di domandare il significato dei nomi dei due singoli Honduras e Sogno

In questo caso, come nel disco (Ride, ndr), i titoli hanno seguito la composizione musicale. Honduras è un tango, con sonorità più violente e che riportano a quei luoghi; Sogno è un brano più melodico perché, fondamentalmente, non è realtà. Mi spiego meglio: è un gioco di parole, dove la realtà è la preparazione – del pianoforte e del mio corpo, tramite alcuni bracciali – ed il sogno è quello spazio non cosciente in cui la musica si espande verso l’ascoltatore.

Michele, è tempo di salutarci. Prima di andare, però, un’ultima domanda: cosa consigli a chi si sta approcciando adesso allo strumento o in generale all’ambiente musicale?

Di non fermarsi solo alla musica. Può sembrare un controsenso ma in realtà non lo è; muoversi a tutto tondo, anche verso l’attualità, spaziare, andare oltre; essere continuamente stimolato dal rumore e dal silenzio del mondo odierno è stato, è e sarà sempre fondamentale per un artista.


Michele Colucci

 

Il nostro momento con Michele Colucci è concluso, ma potete continuarlo a seguire sulla sua pagina ufficiale.
Noi invece torneremo su queste pagine a breve, con eventi elettronici e soprattutto con i Red Light Skyscraper che avremo il piacere di ospitare per una chiacchierata a base di post-rock.
Le foto per quell’evento saranno di Federica de Riso, che ci ha già accompagnato in questa magica avventura con Michele Colucci.

Stay tuned, stay COOL.